Recensione The Doors: Live at the Bowl '68 (2012)

Lo storico concerto dei Doors all'Hollywood Bowl di Los Angeles approda per la prima volta sullo schermo, per un'unica giornata (il 27 febbraio) e con una resa audio/video di notevole fattura.

Un fuoco ancora acceso

"You had to be there". Così inizia, con una semplice scritta in bianco su sfondo nero, questo The Doors: Live At The Bowl '68. Un'affermazione a cui viene da rispondere con ovvie considerazioni anagrafiche, subito superate però dall'emozione (almeno per chi è tuttora un fan della band americana) di poter vivere in minima parte quella che fu, per la generazione sessantottina, un'esperienza irripetibile. L'esibizione del gruppo di Jim Morrison all'Hollywood Bowl di Los Angeles è, infatti, tra quelle più frequentemente ricordate dagli storiografi del rock e dai semplici appassionati: un concerto che allora fu integralmente registrato, con strumenti per l'epoca innovativi (otto piste audio, una pellicola a colori in 16mm, quattro cineprese sul palco - leggenda vuole che una di esse fosse manovrata da un giovanissimo Harrison Ford) e già pubblicato in due versioni parziali, rispettivamente su VHS e DVD, nel 1987 e nel 2000. Ora, questa nuova edizione ci restituisce per intero, senza omissioni, il resoconto filmato di quella storica serata: dopo la pubblicazione in home video, l'esibizione della band approda in 300 cinema di tutta Italia, tramite la distribuzione Microcinema, per un'unica giornata (il 27 febbraio). A intrdodurre il concerto, un documentario con interviste ai tre membri superstiti della band (il tastierista Ray Manzarek, il batterista John Densmore e il chitarrista Robby Krieger), al fonico Bruce Botnick (responsabile tanto della registrazione di allora, quanto dell'attuale rimasterizzazione) e ai membri degli Steppenwolf e dei Chambers Brothers, gruppi spalla.


Proprio questo documentario restituisce, attraverso le parole dei protagonisti dell'evento, un po' dell'aria elettrizzante (ma molto amichevole) che dovette respirarsi durante quella serata: dalla cena insieme ai Rolling Stones prima del concerto (durante il quale Mick Jagger e compagni erano in prima fila insieme alla moglie di Morrison) all'acido assunto dal cantante poco prima di iniziare l'esibizione, dagli aneddoti sull'enorme numero di amplificatori trasportati (52, dei quali, alla fine, ogni membro del gruppo ne potè usare solo uno) alle curiosità sull'atteggiamento sul palco dello sciamano/poeta/mattatore Morrison. Il concerto in sé racchiude tutta l'energia grezza, sensuale e catartica insieme, che un live dei Doors comporta: quel misto di rock 'n' roll acido, blues e psichedelia che ha fatto la fortuna della band, e che qui esplode dallo schermo attraverso la grande comunicatività fisica, a suo modo già tragica, del suo leader. La memoria cinefila corre immediatamente al The Doors di Oliver Stone, e solo guardando (e scrutando attentamente, oltre ad ascoltarlo) il vero Morrison, è probabilmente possibile cogliere la grande, incolmabile distanza che lo separa da quello che fu il suo alter ego, Val Kilmer. Non è questione di abilità recitative (di cui sicuramente Kilmer non era - e non è tuttora - sprovvisto) ma proprio di un modo di tenere il palco, e di vivere in modo totale (simbiotico, diremmo) l'evento live, che non è ovviamente riproducibile da chicchessia. Lo sciamano Morrison, che sorride come un bambino quando si china a osservare una falena scambiata per cavalletta, che, dimentico della presenza delle cineprese, chiede insistentemente di abbassare le luci, che declama per l'ennesima volta (e con la stessa, immutata potenza) la sua tragica versione del mito di Edipo in The End, è un unicuum nella storia del rock.

In un documento filmato durante il quale chi scrive si è ritrovato spesso (spessissimo, in verità) a intonare le tante canzoni che si susseguono nell'esibizione (inutile fare una lista, tra l'altro reperibile ovunque: citeremo solo i must Hello, I Love You, Light my Fire e The Unknown Soldier, oltre alla già citata The End) dispiace solo di poter cogliere così poco (se non per qualche fugace apparizione di un volto) del pubblico che assistette all'evento: quelle migliaia di persone che rappresentano un significativo spaccato di una generazione per cui la musica non era che uno dei tanti strumenti di espressione, seppur certo tra i più importanti. Limiti fisiologici di un prodotto registrato usando le modalità di 45 anni fa, quando la ricostruzione fedele dell'esibizione, e di ogni singola movenza dei membri della band, era l'elemento preponderante nella resa visiva di un concerto. Resta comunque l'impeccabile qualità della ricostruzione audio/video dell'esibizione, il gran lavoro di rimasterizzazione ad opera del già citato Bruce Botnick, oltre alla limpida qualità delle immagini, con i contorni e i colori esaltati dal passaggio in digitale. Nel finale, la solenne, inesorabile The End riporta inevitabilmente alla memoria cinefila un'altra immagine: parliamo ovviamente del finale di Apocalypse Now, le cui immagini si sposavano così bene alla tombale consistenza della musica (e del testo) del pezzo dei Doors. Francis Ford Coppola l'avrebbe fatto suo nel miglior modo possibile, rendendolo parte integrante di un capolavoro della Settima Arte. Restituita al suo humus originale, The End resta essa stessa un capolavoro: suggello perfetto e carico di inquietudine di un evento che, attraverso i decenni, ha mantenuto intatta la sua straordinaria intensità.

Movieplayer.it

3.0/5