Recensione Still the Water (2014)

Naomi Kawase costruisce con Still the Water un film con impianto più tradizionale che colpisce per l'impatto visivo e la delicatezza nel raccontare l'evoluzione dei suoi protagonisti.

Il Giappone è paese di grandi contrasti. È il paese degli svettanti grattacieli di Tokyo e dei tempietti shinto affogati tra essi; è il paese di sbizzarrita tecnologia e di tradizioni e rituali che si ripetono immutabili; è il paese degli edifici antisismici e della casupole ancora on legno. Il Giappone è difficile da capire visto dall'esterno e bisogna affidarsi ai suoi autori più forti per averne un'immagine chiara ed illuminante.

Naomi Kawase è autrice che mostra un determinato aspetto del suo paese, che si concentra sugli aspetti più spirituali che permangono nel Giappone contemporaneo, non molto interessata a mostrare ed analizzare quel volto più noto allo sguardo occidentale che si ferma alla superficialità di una cultura così diversa dalla propria. Lo fa anche in Still the Water, inserito nel concorso dell'edizione 2014 del Festival di Cannes, in un film che pur mantiene una forma narrativa più definita di altri suoi lavori.

Still the Water: una scena tratta dal film
Still the Water: una scena tratta dal film

Dal mare

Il Giappone ed il mare sono legati, come è normale per un insieme di isole. Dal mare arriva il sostentamento, dal mare, l'abbiamo visto più volte, arrivano i pericoli per un paese che subisce la natura da più punti di vista. E quando è così, si impara a rispettarla, metterla al centro delle proprie abitudini, riti e tradizioni. Come nell'isola di Amami Oshima, luogo d'origine degli avi della Kawase che lì decide di ambientare la sua nuova fatica. Lì, dal mare, arriva il corpo di un uomo nel corso di una delle feste tradizionali locali, quelle tenute nel mese di agosto. Un cadavere scoperto dal sedicenne Kaito, la cui vita viene sconvolta dal ritrovamento, come quella della sua amica, e quasi fidanzatina, Kyoko. Una macabra che scoperta che cambia le loro vite ed altera la placida routine di un luogo che vive in comunione con il proprio ambiente.

Un Giappone diverso

Still the Water: Tetta Sugimoto con Miyuki Matsuda in una scena del film
Still the Water: Tetta Sugimoto con Miyuki Matsuda in una scena del film
Naomi Kawase è abile ad immergersi ed immergerci nelle abitudini di Amami Oshima, a mostrarci la vita di una comunità ristretta che si rifà ad un mondo e tempo che non c'è più. Ma la sua non è una scelta casuale, si inserisce in una poetica coerente che infatti si tiene a distanza dall'altro Giappone, quello che spicca con le sue luci e le sue follie: ne è dimostrazione anche la breve digressione a Tokyo, durante la quale ammiriamo quelle parti della capitale nipponica meno battute ed urlate, quelle zone non da copertina, che mantengono quel fascino discreto che ha fatto innamorate tante persone del paese del Sol Levante. Un Giappone diverso anche nei volti e nei modi dei protagonisti che animano una storia essenziale che si fa delicata ed insieme potente, che trasmette emozioni e calore.

Lo sguardo sulla natura

La cinepresa della Kawase osserva quello che la circonda, spesso senza bisogno di aggiungere nulla che non siano le immagino a comunicare direttamente. E le immagini sono magnifiche, dalle onde imponenti nel corso di un tifone alla tranquillità del fondale marino, con costruzioni visive, non per ultima l'incantevole dissolvenza in bianco finale, che lasciano il segno. Un impianto visivo che però non trascura, almeno in questo caso, la storia ed i personaggi, rendendo l'evoluzione di Kyoko e Kaito un interessante percorso di formazione.

Conclusione

Pur con approccio spirituale, Naomi Kawase costruisce con Still the Water un film con impianto più tradizionale che colpisce per l'impatto visivo e la delicatezza nel raccontare l'evoluzione dei suoi protagonisti.

Movieplayer.it

4.0/5