Recensione I Puffi (2011)

Le creaturine blu ideate da Peyo rivivono in una trasposizione cinematografica che utilizza vari espedienti - a partire dalla mescolanza tra animazione tridimensionale e ambientazioni live action - con l'obiettivo di conquistare un pubblico trasversale, non riuscendo però appieno nell'impresa.

Noi Puffi siam treddì...

In un panorama cinematografico come quello attuale - in cui oramai i blockbuster più redditizi per le grandi major sono rappresentati da lungometraggi d'animazione, in grado anche di alimentare enormi profitti attraverso il circuito del merchandising - stupisce come sia stato realizzato solo adesso un film su I Puffi. Della moltitudine di soggetti presi in prestito dal mondo dei fumetti, delle serie animate e dei giocattoli, che ormai da anni a Hollywood costituiscono il bacino privilegiato cui attingere per confezionare un successo commerciale, i Puffi infatti erano rimasti tra i pochi a non essere stati ancora sfruttati.
Creati nel 1958 dal geniale fumettista belga Pierre Culliford, alias Peyo, le piccole e bonarie creaturine blu (conosciute in originale come Schtroumpfs e nel mondo anglosassone come Smurfs) possiedono il carattere senza tempo dei personaggi delle favole, e hanno immancabilmente conquistato giovani appassionati di ogni generazione a seguire. In Italia hanno ottenuto una particolare fama durante gli anni Ottanta, quando le reti Fininvest iniziarono a trasmettere la serie animata prodotta da Hanna-Barbera e, in parallelo, si diffuse l'ossessiva mania per il collezionismo dei pupazzetti che li ritraevano. Difficilmente chi era bambino in quegli anni non ha mai posseduto un giocattolo dei Puffi...

Le potenzialità commerciali delle creature di Peyo sono floride oggi più che mai, e le nuove tecniche della computer grafica e della terza dimensione consentono di apportare un restyling grafico in grado di suscitare l'interesse anche dei più giovani spettatori, avvezzi soprattutto all'estetica del digitale. Facile capire, dunque, come l'idea di riportare in vita i Puffi potesse far gola a molti, e se questa trasposizione cinematografica giunge solo nel 2011 e perché sono stati spesi molti anni per la contrattazione dei diritti di sfruttamento. Inoltre, il progetto ha subito diverse vicissitudini produttive, per essere alla fine realizzato da una joint venture tra Columbia Pictures e Sony Pictures Animation.
Come dimostra anche la sorprendente cifra totalizzata al botteghino statunitense (al momento oltre centotrenta milioni di dollari, e un quindicesimo posto tra gli incassi annuali) I Puffi è uno di quei film concepiti a tavolino attraverso una strategia commerciale a tutto campo, che utilizza il prodotto cinematografico come veicolo per la vendita di gadget, accessori, videogiochi e svariati altri elementi multimediali.
Non è certamente un caso che una delle sequenze centrali del film sia ambientata proprio a FAO Schwartz, il negozio di giocattoli più famoso del mondo, e che gli stessi omini blu siano scambiati per pupazzi animati dalla clientela. Inoltre, vi sono alcune scene che sembrano realizzate per mettere in evidenza un particolare prodotto, come quella in cui Patrick (il protagonista umano della storia) e i Puffi si cimentano in una sessione del celebre videogame musicale Guitar Hero, "rappando" al ritmo di Walk This Way degli Aerosmith.
Insomma, product placement a parte (non può ad esempio mancare un portatile Sony Vaio in bella vista), il film dei Puffi è proprio il tipico caso di quello che viene definito da alcuni studiosi come high concept movie: frutto di un'attentissima strategia di marketing, in cui ogni singolo elemento è scelto accuratamente in base a precise ricerche di mercato. Interessante notare da questo punto di vista come il protagonista umano del film lavori proprio nel settore pubblicitario, e come sia paragonato dai suoi amici blu a uno stregone o a un indovino...
Il marketing mix de I Puffi è abbastanza raffinato: in questo caso abbiamo all'opera un regista specializzato in film per famiglie in cui interagiscono animazione e live action, Raja Gosnell (Scooby Doo, Beverly Hills Chihuahua); due sceneggiatori esperti di blockbuster animati come J. David Stem e David N. Weiss (autori dei copioni di Shrek 2 e Shrek Terzo); computer grafica all'avanguardia e tecnologia tridimensionale di alto livello; una colonna sonora composta da hit orecchiabili (grazie a mamma Sony), una coppia di interpreti apprezzata dal pubblico televisivo giovane-adulto come Neil Patrick Harris (How I Met Your Mother - Alla fine arriva mamma!) e Jayma Mays (Glee), e la presenza di partecipazioni d'eccezione come la pop star Katy Perry che in originale doppia Puffetta.
La scelta di realizzare un ibrido tra animazione e live action, ambientando il film a New York anziché nella fatata terra natale dei Puffi, consente una maggiore vivacità rispetto a un lungometraggio interamente animato, che avrebbe accontentato solamente la porzione più giovane del pubblico. In questo modo, la presenza dei riferimenti ai luoghi più suggestivi della Grande Mela (compresa una Puffetta che imita Marilyn Monroe) e l'accenno a qualche battuta (relativamente) meno infantile, consente per lo meno di mantenere desta l'attenzione anche degli spettatori più maturi.
Gli aspetti negativi, tuttavia, derivano proprio dall'intenzione di voler realizzare un blockbuster che accontenti tutte le fasce di pubblico. La storia de I Puffi è così sin troppo elementare, con al centro un manipolo di omini blu (i ben noti Grande Puffo, Puffetta, Brontolone, Tontolone e la new entry Puffo Coraggioso) che, passati attraverso un portale magico, finiscono nella New York dei giorni nostri, inseguiti dall'eterno nemico Gargamella (un piacevolmente gigionesco Hank Azaria) e dal fedele gatto Birba (qui in un'esilarante versione digitale). Altrettanto semplice è la morale di fondo, fondata come al solito sulla solidarietà e sulle responsabilità familiari, e riassunta in una battuta chiarificatrice del film: "Non ci si arrende mai quando si tratta di famiglia".

Forse le creature di Peyo avrebbero meritato una trama meno stereotipata, e che desse meno la sensazione di essere costruita a tavolino, non riuscendo in questo modo ad appassionare veramente. In ogni caso, il pubblico di bambini non mancherà di divertirsi, come pure tutti coloro i quali, magari cresciuti negli anni Ottanta con piccoli pupazzetti blu, siano in vena di una puffolosa regressione infantile...