Recensione Eat Your Bones (2014)

Dopo il successo riscosso alla Quinzaine des Réalisateurs 2014, che è valso al regista Jean-Charles Hue il premio Jean Vigo, arriva in concorso a Torino 32 il ruvido noir metropolitano Eat Your Bones, secondo capitolo della saga gitana iniziata quattro anni fa con The Lord's Ride e ambientata nei campi rom della provincia parigina.

In un campo nomadi nei dintorni di Parigi vivono i Dorkel, famiglia nomade di etnia jenisch composta da madre e tre figli. Il diciottenne Jason è il minore e nonostante sia figlio illegittimo del padre defunto è molto ben voluto sia dalla donna, che gli ha fatto da madre, che dai due fratellastri. Proprio nei giorni che precedono il battesimo del ragazzo, che nell'ultimo periodo si è molto avvicinato alla sempre più seguita congregazione dei 'cristiani', il fratello maggiore Fred viene rilasciato dopo quindici anni di reclusione scontati per aver ucciso un poliziotto durante un furto.

Il suo ritorno al campo però non viene con troppo entusiasmo dalla comunità: Mickaël, il fratello di mezzo violento e insicuro non accetta di perdere il suo ruolo di leader, il cugino Moïse è deciso ad impedire con tutto se stesso a Fred di mettere in pericolo la vita di Jason, lo zio e gli altri anziani gli fanno subito capire che la vita all'interno del campo ora è tranquilla e le sue sfuriate da esaltato e i suoi colpi di testa non sarebbero più tollerati come un tempo. La prigione non sembra aver avuto alcun effetto benefico sull'uomo. Dopo essere tornato in possesso della sua adorata BMW Alpina, Fred non si gode nemmeno la prima notte di libertà e pianifica insieme ai fratelli e al cugino il furto di un carico di rame che può risolvere in un solo colpo tutti i loro problemi economici. L'epilogo non potrà che essere tragico, ma quando si vive nel culto di un padre che si è schiantato a trecento chilometri l'ora contro un posto di blocco della polizia è il minimo che ci si può aspettare.

Tra realtà e finzione

Eat Your Bones: Frédéric Dorkel in una scena del film drammatico
Eat Your Bones: Frédéric Dorkel in una scena del film drammatico

Nato come designer e stilista, il quarantaseienne regista e sceneggiatore francese Jean-Charles Hue approda al Torino Film Festival con il suo terzo film dopo il passaggio nella sezione Festa Mobile dell'edizione 2009 del suo lungometraggio d'esordio Carne viva e il successo di The Lord's Ride, opera ibrida tra documentario e fiction incentrata sulle vicende familiari dei Dorkel, una vera famiglia rom che vive nel nord della Francia e che dal 2003 è entrata casualmente in contatto con l'autore per motivi personali. A differenza del suo predecessore, Eat Your Bones è un film di pura finzione (nonostante attinga alle reali vicende di un'intera comunità e lasci spesso spazio all'improvvisazione) che riprende in mano la storia dei Dorkel per trasformarla in un teso e cupo action on the road costruito attorno a una rocambolesca avventura notturna che prende spunto da un fatto realmente accaduto.

Legami di sangue

Eat Your Bones: un'immagine del film
Eat Your Bones: un'immagine del film

Ogni scelta nelle vite dei giovani traveller è drammatica, in particolare quella tra il bene e il male, tra gli dei della guerra o il cammino del Signore. Jason è in un'età in cui deve fare una scelta ben precisa e la sua mamma adottiva sa che Fred cercherà in tutti i modi di impedire questa 'conversione'. Il battesimo è l'unica speranza di salvezza per Jason, che dal canto suo guarda al fratello maggiore come al suo salvatore, a una specie di samurai senza paura depositario di antichi valori, sentimenti che lo pongono in una situazione di conflitto con il desiderio di diventare un buon cristiano. I dubbi che ci assalgono sono tanti e tutti legittimi: si è sacrificato per procurare il cibo per i fratelli più piccoli oppure Fred ha solo voluto sfidare la sorte? E' finito dietro le sbarre per un incidente o per colpa della sua incoscienza? Forse il suo modo di concepire l'essere gitano è ormai superato e forse il mondo intorno a lui dopo quindici anni è profondamente cambiato, ma lui no, è sempre lo stesso di prima. Forse quei cristiani cui Jason si sta per legare stanno portando nella comunità una nuova visione alla quale lui non vuole aderire ed è per questo che, nel finale, si ritroverà a gridare al mondo la piena accettazione di un destino tragico che da qualche parte sa anche di redenzione e che rinsalda il legame con le sue origini e con il gesto 'eroico' di suo padre. Ed è con quell'atto estremo di liberazione dalla persecuzione dei gadjé (termine che identifica chiunque non appartenga alla comunità non-Romani) che Fred rinuncia a 'mangiare i suoi morti'. "Mange tes morts!" oltre ad essere il titolo del film è anche il peggior insulto che si possa fare ad un gipsy, un invito a rinnegare le proprie origini e a calpestare la memoria dei padri e degli antenati.

Mickael Dauber in una scena di Eat Your Bones
Mickael Dauber in una scena di Eat Your Bones

Un finale che vale l'attesa

Eat Your Bones: Moïse Dorkel in una scena del film drammatico
Eat Your Bones: Moïse Dorkel in una scena del film drammatico

Dopo un'ora di dialoghi serrati, di litigi e riappacificazioni, di sgommate in auto e furti di carburante arriva finalmente l'azione: nei magistrali venti minuti finali succede tutto quello che durante il lungo preludio era stato solo preannunciato. Si prende tutto il tempo di cui ha bisogno Hue, per poi regalarci un improvviso deragliamento di un lancinante dramma familiare verso l'action su quattro ruote. L'eccentricità antropologica di un mondo lontano anni luce dal nostro è però solo uno dei tratti caratteristici di Eat Your Bones, affascinante e atipica opera che riesce sapientemente a mescolare il western iniziatico con il noir e il documentario, in cui realtà e finzione si sovrappongono continuamente grazie ad un gruppo di interpreti straordinari che si spingono oltre la semplice messa in scena di un copione, porgendo agli occhi di chi guarda un pezzo importante della loro vita reale.

Conclusioni

In un crescendo di tensione e di velocità, il regista francese Jean-Charles Hue ci trascina nel mondo delle comunità rom confezionando un film originale e cupissimo intriso di nebbia e realismo, messo in scena con piglio documentaristico e una fotografia sgranata di grande impatto visivo.

Movieplayer.it

3.5/5