Recensione Piccoli affari sporchi (2002)

Stephen Frears, dopo la parentesi americana, torna nella sua Inghilterra per raccontarci di quei soggetti che non vediamo mai ma che rendono la nostra vita più comoda. E lo fa invischiando queste persone invisibili, gli immigrati, in un plot giallo intelligente e anomalo.

Quel piccolo vizio chiamato onestà

Dopo la parentesi americana di Alta fedeltà, Stephen Frears torna nella sua Inghilterra per calarsi tra i più disperati fra i disperati, fra gli invisibili che rendono la nostra vita più comoda e più gradevole, fra quelli che puliscono i nostri affari più sporchi senza mai farsi notare: gli immigrati.
In una Londra grigia e deprimente, lontana mille miglia dalle cartoline e dai depliant turistici, Okwe (Chiwetel Ejiofor) clandestino nigeriano, lavora senza problemi di rilievo in un albergo come portiere di notte, fino a quando una sera non trova un cuore umano pulendo il cesso di una delle stanze.
Quella che fino a qui sembrava una storia di culture dissonanti e di momenti di tenerezza nascosti, si trasforma in un thriller. Ma Frears non ha bisogno di sbirri violenti, di pistole o pugnali; per rendere nera una storia basta possedere un pezzetto d'anima che funziona ancora. Mentre infatti la vicenda si dipana agevolmente e in modo mai banale (grazie alla intelligente sceneggiatura di Steven Knight), il punto centrale non viene individuato nella trama criminale di cui Okwe viene a conoscenza, ma nella sua integrità come persona.
Infatti il regista, pur dirigendo un plot giallo con precisione cronometrica e mano decisa, non dimentica mai i suoi personaggi e li traccia con sensibilità, delineando personalità e culture diverse e non mentendo su nessun aspetto della loro squallida vita, specie su quelli che noi "occidentali" tendiamo a non voler ricordare (da notare poi che proprio gli occidentali non compaiono mai, se non sullo sfondo, in questo film).
Frears ci stupisce poi con un colpo originalissimo nel genere; i "cattivi", per quanto non mostrino alcuna virtù che li possa redimere (confermando così il dogma del manicheismo della maggioranza dei thriller), risultano essere non super villain, ma solo altri poveracci reietti che per sopravvivere e soprattutto per vivere meglio, hanno scelto di calpestare i loro simili; in pratica mezze cartucce al servizio di qualcuno ancora più potente e quindi totalmente estraneo al mondo di Okwe e dei suoi amici.
Altra sorpresa è il cambio di traiettoria nel finale; mentre sangue e violenza erano stati fino a quel momento quasi solo accennati, gli ultimi venti minuti ci regalano un momento assolutamente pulp, condito con una dose di causticissima ironia. Una manna per adoratori di Tarantino & Co.
Il risultato è un riuscito mix di generi; l'autore riesce ad amalgamare felicemente thriller, gore, cinema di denuncia sociale, non rinunciando a raccontare anche una piccola storia d'amore, commovente e bella.
In definitiva non si può dare che un giudizio molto positivo su questa pellicola, originale, intelligente, attenta alle psicologie di tutti i personaggi. Plauso anche a tutti gli attori, che compiono un egregio lavoro e una grande soddisfazione per come Audrey Tautou è riuscita senza problemi a sfilarsi di dosso i panni della deliziosa Amelie.