Princess, la recensione: una favola (ir)reale, tra poesia e amarezza

La recensione di Princess: un cerchio da cui è impossibile uscire, un nuovo Neorealismo e il cinema umano (e contrapposto) di Roberto De Paolis. Protagonisti Glory Kevin e Lino Musella. Presentato nella Sezione Orizzonti di Venezia 79.

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Princess: una scena del film

Come già fatto nel bel Cuori Puri, Roberto De Paolis continua il suo percorso alla ricerca delle umane contrapposizioni. Se nel suo esordio c'erano i confini di una favola dai tratti luminosi, qui, nell'altrettanto riuscito film che vi raccontiamo nella nostra recensione di Princess, la favola in questione si fa più oscura e più profonda, pur non perdendo di vista un estro cinematografico lieve e gentile, che accarezza i suoi personaggi - e che personaggi - alla ricerca di un posto sull'Isola che non C'è. Allora, mentre la musica originale di Emanuele De Raymondi cita in apertura La Bella e La Bestia, con i titoli disegnati in uno splendido font dai tratti disneyani, ci ritroviamo poi a schiaffo nel bel mezzo di una radura - una "foresta", secondo la strepitosa comparsata di Maurizio Lombardi, protagonista di una sequenza poetica e amara - facendo la stretta conoscenza di Princess (Glory Kevin), una ragazza nigeriana di diciannove anni che, per vivere, vende il suo corpo. Insomma, tutt'altro che una fiaba.

La radura in questione è la pineta di Ostia, che separa la Roma Capitale dai tratti desolati del litorale, e i clienti - alcuni bizzarri, alcuni gentili, alcuni umanamente sperduti - vanno e vengono, consumando velocemente un atto animalesco, scostante e meccanico. Ma l'intento di De Paolis non è certamente quello di rintracciare i pietismi del caso, anzi. Insomma, non vuole raccontare la miseria, non gli interessa enfatizzare il dramma (che c'è, eccome se c'è), né tantomeno puntare il dito verso chi, in cerca di chissà cosa, si ritrova a pagare per avere uno sparuto bagliore di piacere. Infatti, Princess, scollegata dall'umanità, è respingente e ostile, concentrata unicamente sull'ottenere più soldi possibili. Come se fosse - appunto - in preda ad un sortilegio malvagio che la rende immune alla bellezza e, per certi versi, alla stessa umanità. Prostituirsi, per lei, è un lavoro, e il lavoro occupa per intero le sue giornate.

Vivere ai margini della strada. E della vita

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Princess: un momento del film

Che Princess non sia per forza una figura empatica lo capiamo fin da subito: una sfortunata volpe viene investita e lei, insieme ad un'altra prostituta, la trascina nel bosco. Crediamo vogliano seppellirla, in un gesto dignitoso e umano, e invece no, la caricano in una vecchia borsa e finiscono per cucinarla (!) nella loro scombinata casupola, distante diverse fermate di autobus. Un episodio che mostra chiaramente quanto Princess, presentato nella Sezione Orizzonti di Venezia 79, sia un cinema marcatamente vero. La vita della ragazza rispecchia in modo preciso la terribile esistenza di chi è costretto a vivere ai margini (di una strada, della stessa esistenza), e dunque la narrazione circolare ed episodica non lesina nulla, facendo trasparire la situazione ai margine vissuta da Princess e dalle altre ragazze, (vere) vittime della tratta, nonché co-autrici del film interpretando sé stesse. Ecco il motivo per cui Princess pare, a più riprese, non seguire un copione ferreo, lasciando spazio d'azione all'improvvisazione e alle emozioni della sua controparte cinematografica.

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Una principessa sperdutta

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Princess: una scena tratta dal film

Una protagonista che, a guardare in controluce, altro non è che una principessa sperduta che non sa cosa voglia dire amare. Come nelle classiche favole, sfiorerà la percezione che, in mezzo a quella selva oscura, possa esserci nascosto un principe azzurro. Una percezione, appunto. Un'abbozzo fiabesco che non tradisce l'idea iniziale, assorbendo e iscenando le sensazioni che arrivano dalla strada. E un percorso, che potrebbe portare ad una catarsi, all'assaggio di una vita probabilmente migliore. Perché Corrado (Lino Musella), cavaliere senza macchina appassionato di funghi che preferisce gli animali agli umani (al contrario di Princess), proverà con coraggio ad avvicinarsi alla principessa, inseguendo un bacio che potrebbe risvegliarla dal torpore. Ma Princess, sgraziata e ingenua, deve pur difendersi dalla ferocia del mondo, e quindi il racconto di De Paolis finisce per alternare il degrado alla liricità, l'umorismo ruspante agli occhi spenti di Princess, personaggio che, come nel cinema Neorealista, annulla il confine tra finzione e verità.

Lacrime e spiriti guida

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Princess: una sequenza del film

Il punto di vista, lungo il fluire delle due ore scarse (siamo onesti, un paio di sequenze in meno avrebbero aiutato), non cambia mai e la camera del regista resta fissa e tremolante sul volto della ragazza. Non la molla un attimo, la tiene stretta a sé, le ricorda quasi che al mondo può esserci il conforto necessario, e che anche dopo la notte più buia c'è il sole, lì pronto a sorgere. Quello che Roberto De Paolis affronta, dunque, è un viaggio poetico e amaro, contornato dagli ancestrali spiriti guida e dalle lacrime appena accennate.

Un viaggio che rilegge i canoni classici delle fiabe, mischiando accecante bellezza, straripante malinconia (del resto il litorale romano ha un immaginario ben definito se si parla di malinconia) e irrimediabile bruttezza. Tre elementi che coesistono nell'inconsapevole universo di Princess. Tre elementi che legano i fili di un racconto che sfugge alle stesse regole delle favole. Perché quello che inquadra il regista è più reale che mai. E non c'è soluzione di continuità, bensì un cerchio chiuso da cui è impossibile scappare. Forse.

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Conclusioni

Concludiamo la recensione di Princess sottolineando quanto Roberto De Paolis abbia un occhio attento per la regia e per la cura costante del senso narrativo. Non abbandona mai una protagonista probabilmente inconsapevole, che non cerca per forza la connessione con il pubblico. Nonostante questo, regala sprazzi alternati di bellezza e purezza, in un parallelo fiabesco che funziona fin dai titoli di testa.

Movieplayer.it
3.5/5
Voto medio
4.0/5

Perché ci piace

  • Glory Kevin è una protagonista incredibile nella sua probabile inconsapevolezza d'attrice.
  • Un Neorealismo che funziona.
  • La sequenza con Maurizio Lombardi vale l'intero film.
  • La concezione fiabesca del racconto.
  • I titoli di testa. Sarà un dettaglio, ma sono bellissimi.
  • Le citazione raffinate a La Bella e la Bestia.

Cosa non va

  • Un paio di sequenze in meno, che aggiungono poco al senso del racconto.
  • Una certa staticità nella parte centrale del film.