Recensione Gangor (2009)

Gangor non presenta particolari elementi di novità nella struttura, ma il suo merito principale è quello di tentare di creare un cinema internazionale, che nasca dalla fusione di ritmi narrativi e sguardi sul reale profondamenti diversi.

Per salvare Gangor

Il documentarista Italo Spinelli affronta un tema delicato e purtroppo ancora attuale in molti paesi del mondo: la condizione della donna, la sua sottomissione e la mancanza di diritti. Per far ciò costruisce una pellicola sincretica che mescola sguardo occidentale e placidità orientale. Gangor è ambientato in Purulia, regione del Bengala Occidentale la cui popolazione, che vive ancora in regime tribale, è stata toccata solo marginalmente dalla modernità, dalla diffusione dell'istruzione e dall'emancipazione femminile. Gangor, ispirato al racconto breve Choli Ke Pichhe dell'immensa scrittrice indiana Mahasweta Devi, si concentra sulla narrazione delle conseguenze della collisione tra tradizione e modernità. Quando uno spregiudicato fotoreporter indiano, impegnato in un reportage sulle donne della Purulia, fotografa la bellissima Gangor mentre allatta al seno il figlio, non è in grado di prevedere la reazione che l'immagine discinta della donna sul giornale scatenerà negli abitanti del villaggio.


Un elemento estraneo calato in un contesto dal quale è avulso e che non comprende sconvolge i riti e le tradizioni ancora in uso. Gangor non presenta particolari elementi di novità nella struttura, ma il suo merito principale è quello di tentare di creare un cinema internazionale, che nasca dalla fusione di ritmi narrativi e sguardi sul reale profondamenti diversi. La scelta di utilizzare attori e location reali fotografandoli con sguardo partecipe e allo stesso tempo distaccato, quasi documentaristico, amplifica la drammaticità della vicenda narrata, senza però indulgere nel mostrare scene eccessivamente truci. Le molestie che Gangor è costretta a subire vengono principalmente suggerite, evitando la speculazione voyeristica sulla rappresentazione del dolore e sulla violenza, il tutto senza indebolire la forza del messaggio veicolato dal film.

La denuncia della condizione della donna tribale è un urlo che lacera il contesto esotico e la curiosità di stampo quasi antropologico con cui il protagonista della storia si accosta al mondo in cui Gangor vive. Purtroppo la seconda parte della pellicola perde di vigore dal momento in cui a questo sguardo curioso, ma esterno, si sovrappone il dramma vero e proprio. In una situazione di pericolo e sofferenza come quella vissuta dai personaggi, non viene riservato lo spazio per un approfondimento psicologico adeguato che ci permetta di sintonizzarci sulla psiche delle figure che si muovono sulla scena. Così se il mutismo e la durezza di Gangor, in qualche modo, riescono a mantenere costante l'interesse e il mistero che circondano il personaggio sfuggente, la deriva drammatica del fotoreporter, la sua lacerazione interiore tardiva e inutile e la sua prevedibile fine risultano schematici e intrisi di retorica. Quanto alla moglie dell'uomo, abitante della città moderna e colta, e all'assistente del fotografo, risultano figurine unite da un legame poco chiaro, a conti fatti poco più che ombre sfuggenti.

Movieplayer.it

3.0/5