Recensione La famiglia omicidi - Keeping Mum (2005)

Il film si va a collocare nella tradizione estetico-tematico-formale della commedia nera inglese, e che anzi fa di quella tradizione il suo primo e principale punto di riferimento.

Nero d'Albione

Che stia tornando di moda l'intramontabile old british style? Un primo segnale era arrivato dal grande successo di Wallace & Gromit: La maledizione del coniglio mannaro: un film con due personaggi che fin dalle loro primissime uscite (purtroppo misconosciute nel nostro paese, perché assai superiori al lungometraggio) hanno fatto del legame con una certa tradizione di humour britannico e di situazioni molto british un marchio importante ed inconfondibile.
Un'ulteriore conferma di questa tendenza sembra ora arrivare da una black comedy tutta inglese come La famiglia omicidi - Keeping Mum, che in patria hanno definito come degna erede delle produzioni Ealing, lo storico studio inglese che tra gli anni Quaranta e Cinquanta ha prodotto pellicole che hanno fatto la storia del cinema d'oltremanica: un titolo su tutti, La signora omicidi (ovviamente richiamato dal titolo italiano del film di cui ci stiamo occupando).
E - sia detto per inciso - a conferma di un circolo che si chiude e del paragone fatto in apertura - ci sembra significativo far notare che lo scenografo de La famiglia omicidi Crispian Sallis (responsabile della scelta delle splendide location del film, Cornovaglia e Isola di Man) sia il figlio di quel Peter Sallis attore in tante produzioni cinematografiche e televisive Made in Britain e soprattutto voce originale del personaggio di Wallace.

Tornando comunque più direttamente a La famiglia omicidi, è indubbio che il film scritto e diretto da Niall Johnson si vada a collocare nella tradizione estetico-tematico-formale della commedia nera inglese, e che anzi faccia di quella tradizione il suo primo e principale punto di riferimento.
Si tratta quindi di un film estremamente e positivamente classico, che fa di questa classicità e linearità il suo punto di forza. Ora, non si tratta certo di un capolavoro, è un film che avrebbe guadagnato (e molto) dall'acuirsi del cinismo e dello humour nero che sono comunque presenti nella storia. Ma si tratta di uno dei quei film che, nella loro esplicita mancanza di grandi ambizioni, nel loro palese understatement risultano essere pause oneste e godibili in un panorama cinematografico fatto soprattutto di banalità, di plastificazioni visive, di omogeneizzazioni culturali e tematiche.

La famiglia omicidi è uno di quei film che, ispirati delle ambientazioni, si guarderebbe volentieri durante un'uggiosa domenica pomeriggio, armati di plaid e di tazza di tè bollente. Un film garbato, nel quale ci si perde abbastanza ed abbastanza volentieri da far risultare persino gradevole un colpo di scena finale telefonatissimo: perché nella placidità del racconto ci si dimentica della possibilità che un colpo di scena possa persino esistere.
Impossibile poi non citare le ottime interpretazioni di tutto il cast: da un Rowan Atkinson felicemente lontano da Mister Bean e vicino a Blackadder, ad una Kristin Scott Thomas tra il dimesso e il risoluto, passando per Patrick Swayze nel ruolo dell'americano playboy e cafone. Ma tutti loro, pur bravi, sono costretti a passare in secondo piano quando entra in scena la classe di Maggie Smith. Anche se, per godere appieno delle performance di questi attori, è indispensabile una visione in versione originale.