Recensione The Neighbor no. 13 (2005)

Tratto dall'omonima opera del mangaka Santa Inoue, The Neighbor no. 13 è un horror-psicologico di notevole impatto visivo. Più che nel plot infatti, l'efficacia di questa pellicola risiede proprio nelle scelte registiche dell'esordiente Yasuo Inoue.

Nella mente del mostro

Sono molto diffusi, nella cronaca giapponese, i casi di violenza giovanile, in particolare quelli che si consumano tra i banchi di scuola. Non riempiono certo le pagine dei giornali, ma si tratta di uno dei fenomeni maggiormente documentati dalle altre forme di comunicazione, in particolare nei manga e nei film; basti pensare, tra gli esempi più noti, al Visitor Q di Takashi Miike.
Alla base di The Neighbor no. 13, lungometraggio d'esordio del giovane Yasuo Inoue, prima regista di ottimi videoclip, si colloca un perfetto esempio di questa realtà: da una parte il racconto della solitaria vita di Juzo (Shun Oguri), e i flashback della sua infanzia e delle torture subite dai compagni di scuola, dall'altra il violento e oscuro esplodere della sua rabbia repressa, di un dolore evidentemente taciuto per anni, che troverà sfogo generando un alter ego, 13 (Shido Nakamura), dalle fattezze e l'indole diametralmente opposte a quelle di Juzo. 13 porta tutte le cicatrici del passato, uno sfregio che gli deforma il viso, e occhi vuoti, totalmente privi di sentimenti, proprio come lui.

Tratto dall'omonima opera del mangaka Santa Inoue, The Neighbor no. 13 è un horror-psicologico di notevole impatto visivo. Più che nel plot infatti - trame che affrontano il tema dello sdoppiamento di personalità non sono certo un'innovazione - l'efficacia di questa pellicola risiede proprio nelle scelte registiche dell'esordiente Inoue.
A differenza di molti horror contemporanei, questo film è caratterizzato da ritmi estremamente lenti e dilatati, e da un numero ridottissimo di dialoghi; l'effetto è lasciato alle immagini, ad una fotografia molto curata e alla messa in scena. La macchina da presa è spesso distante dai soggetti e quasi immobile. Anche nelle scene di violenza, che in altri film diventano pretesto per accelerare i tempi d'azione, Inoue opta per uno stile principalmente documentaristico - analogo a quello che ne caratterizza anche i videoclip - solo in rari momenti scosso da scene più dinamiche o addirittura da brevi cartoni animati.
Altra scelta non proprio rivoluzionaria è quella di far interpretare le due differenti personalità di Juzo a due attori diversi, di certo non un espediente nuovo al linguaggio cinematografico per descrivere le due diverse anime che coesistono in un personaggio (Bunuel insegna!), ma comunque una soluzione sempre valida e d'effetto. In questo senso un richiamo particolare è dovuto all'ottimo cast, in particolare Shido Nakamura, conosciuto in patria come importante attore di teatro kabuki, oltre che per pellicole come Ping Pong e Iden & Tity, e Hirofumi Arai, tra i protagonisti del recente Blood and Bones al fianco di Takeshi Kitano.

Impossibile evitare richiami al cinema di alcuni filmekers giapponesi contemporanei (in particolare col già citato Takashi Miike, che nel film è anche presente in fugace cameo), o anche con alcuni grandi autori occidentali, ma per l'evidente qualità di questo film, è altrettanto indispensabile promuovere Inoue tra i più interessanti registi della giovane generazione di cineasti giapponesi.