Recensione Meek's Cutoff (2010)

Cinema radicale (persino nella scelta del formato 4/3) per un'opera sospesa che giunge ala sua inequivocabile sintesi proprio attraverso l'assenza. Assenza di azione e di storia, ma non di pensiero. Il corpo teorico dell'opera di Richards è denso e calibrato, nei suoi rari e pregnanti dialoghi, nella volontà di raccontare l'America attraverso la trance dei suoi spazi inesplorati.

Metafisica di frontiera

Ha fatto e farà discutere Meek's Cutoff di Kelly Reichardt rilettura simbolica e metafisica dei primi viaggi di conquista in Oregon nel 1845. Una carovana di tre famiglie cerca di arrivare alle montagne di Cascade facendosi guidare da una guida. Il passaggio su un sentiero non tracciato, attraverso un deserto di rocce si dimostrerà una pessima idea, tanto che il malcontento per l'operato della guida è tale da far discutere i capofamiglia sulla sua eventuale impiccaggione. Dopo giorni di cammino ai limiti della sopravvivenza, la carovana cattura un nativo americano e indecisa se ucciderlo o affidargli la speranza di ricerca dell'acqua prosegue verso l'ignoto.

La Reichardt dopo Old Joy e Wendy and Lucy conferma l'unicità preziosa del suo percorso filmografico con un film estremo e cerebrale che rielabora il mito della frontiera americana attraverso un pre-western metafisico e ipnotico, in cui al caos si sostituisce il silenzio e al mito l'impossibilità degli uomini di agire di fronte all'ignoto. Cinema radicale (persino nella scelta del formato 4/3) per un'opera sospesa che giunge ala sua inequivocabile sintesi proprio attraverso l'assenza. Assenza di azione e di storia, ma non di pensiero. Il corpo teorico dell'opera di Richards è denso e calibrato, nei suoi rari e pregnanti dialoghi, nella volontà di raccontare l'America attraverso la trance dei suoi spazi inesplorati.
Il mito dell'epopea western americana è impersonificato dalla guida Stephen Meek, presenza simbolica e spavaldo pioniere la cui credibilità è progressivamente annientata nel corso delle vicende. Un mito distrutto nel giro di uno scambio di battute nel quale Emily Tetherow risponde alle sue certezze sugli indiani e sul territorio dicendogli All I see is vanity (Quello che vedo è vanità). La stessa Emily che è la prima a mostrare un pò di umanità al nativo americano da Meek cattivato, impedendo che finisca ucciso, dandogli da mangiare e da bere. E riparandogli le scarpe. Ma alla domanda del perchè del suo comportamento risponde che vuole che l'indiano gli debba qualcosa. All'anima inquieta e sanguinolenta di Meek si contrappone quella riflessiva e strumentalmente progressista di Emily. E'il suo personaggio, interpretato da una straordinaria Michelle Williams a raccontarci l'altra America. Un America ancora da scoprire.