Mes Petites Amoureuses, la recensione: un film precursore dei coming-of-age moderni

La recensione di Mes Petites Amoureuses - I miei primi piccoli amori: i colori di Bordeaux, la fotografia di Néstor Almendros, la poetica dei romanzi di formazione. I Wonder Classics porta per la prima volta al cinema il dimenticato film di Jean Eustache.

Mes Petites Amoureuses, la recensione: un film precursore dei coming-of-age moderni

Strana ma interessante scelta quella di I Wonder Classics. Riportare al cinema - anzi, portare al cinema per la prima volta - Mes Petites Amoureuses - I miei primi piccoli amori di Jean Eustache, film del 1974 che, a guardar bene, potrebbe essere precursore di una certa narrazione contemporanea. Scelta interessante perché la pellicola, passata nel dimenticato Festival Cinematografico di Mosca, è avanguardista nell'insieme della poetica da coming-of-age (genere che amiamo particolarmente), anticipando temi, stili e umori che oggi sono alla base del cinema generazionale. Dall'altra parte, lo ripetiamo, la scelta è strana: pur non essendo mai uscito in Italia, il film di Jean Eustache non è tra i memorabilissimi del cinema francese, considerando la poca considerazione riservata ad Eustache negli anni Sessanta e Settanta, tanto in Francia quanto in Europa (anche a torto, bisogna dirlo, basti vedere l'utilizzo dell'inquadratura in Mes Petites Amoureuses).

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Mes petites amoureuses - I miei primi piccoli amori: una foto

Se Jean Eustache è un autore da riscoprire, è anche indubbio che il regista non ha mai trovato la strada della totale compiutezza, nonostante un Gran Prix a Cannes, per il suo film (scandalo) più famoso, La Maman et la Putain, dalla durata di quasi quattro ore (visto? I film lunghi sono sempre stati prodotti), che gli ha permesso di girare il lungometraggio in questione. E, a detta di Eustache, le sue opere sono tutte autobiografiche. Compreso Mes Petites Amoureuses, che si lega ai ricordi d'infanzia. Ricordi che, nella loro universalità, sono sovrapponibili a quelli degli spettatori, e quindi funzionali al materiale narrativo. Sfumature di una memoria passata, alla base di una sceneggiatura firmata dallo stesso regista, bravo a far vibrare i colori saturi delle immagini firmate dal più grande direttore della fotografia che sia mai esistito: Néstor Almendros.

Mes Petites Amoureuses, al principio dei coming-og-age

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Mes petites amoureuses - I miei primi piccoli amori: una scena

Del resto possiamo dirlo, Mes petites amoureuses - I miei primi piccoli amori, senza l'estetica curata da Néstor Almendros non sarebbe la stessa cosa, e forse non saremmo qui a parlarne. La storia di Daniel (Martin Loeb, una manciata di film e poi l'addio al cinema) perderebbe sostanza, spessore, profondità senza i colori saturi dello maestro spagnolo, o senza la pregnanza tangibile di una tavolozza che richiama - guarda caso - i paradigmi della memoria. In fondo, dalla (sua) memoria parte Jean Eustache, facendoci conoscere un taciturno ragazzino che vive con sua nonna (Jacqueline Dufranne) a Pessac, nelle campagne vicino Bordeaux.

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Mes petites amoureuses - I miei primi piccoli amori: una scena del film

Il tempo scorre lento, placido, tra scoperte, giochi, ammiccamenti. Almeno fino a quando sua madre (Ingrid Caven) lo costringe a trasferirsi a Narbona, dove vive con il suo nuovo compagno. La donna non può pagare gli studi del ragazzo, e dunque lo spedisce a lavorare come apprendista meccanico. Per Daniel, sarà un periodo di certezze e di incertezze, di consapevolezze, di stimoli, di istinti, di sguardi. Insomma, di crescita. L'amicizia cambierà tono, la sessualità si farà fugace nella sua acerba concezione (nel buio galeotto di un cinema), la vita stessa, in un periodo storico di forti cambiamenti sociali e politici, richiederà a Daniel una spensierata fermezza.

Temi attuali, piccoli amori

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Mes petites amoureuses - I miei primi piccoli amori: un'immagine

A proposito di estetica e colori: la versione distribuita da I Wonder Classics è la stessa restaurata in 4K e ri-presentata alla Mostra del Cinema di Venezia 2022. Le immagini di Mes petites amoureuses - I miei primi piccoli amori sono un punto centrale, con il formato in 4:3 che racchiude gli aspetti intimisti della vicenda. Una scelta estetica ben precisa da parte del regista, in un'epoca in cui il formato si stava poco a poco allargando, espandendo. Una scelta contraria rispetto al periodo storico, tuttavia essenziale rispetto alla visione del regista. Perché lo abbiamo detto: se Mes Petites Amoureuses è un film che può risultare anacronistico - ogni sequenza è aperta e chiusa da una sfumatura al nero, come se fossero piccoli pensierini messi in serie -, è contemporaneamente un'opera quantomai attuale, per temi e pensiero: la storia di Daniel, pur autobiografica, è la stessa che troviamo nelle pieghe dei romanzi di formazione odierni.

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Mes petites amoureuses - I miei primi piccoli amori: una sequenza

La crescita, la maturazione, l'incomunicabilità, le figure genitoriali assenti (o troppo presenti), il rapporto con l'altro sesso, e con la propria sessualità. Elemento per elemento, tema per tema, Mes Petites Amoureuses è un insieme di parentesi ben distinte ma tutte inserite in un vivido affresco nel quale il regista come prima cosa ragiona sul suo passato, affidando a Daniel tanto il pensiero quanto - e soprattutto - la voce (il film è accompagnato dal voice over del protagonista). Seguendo il percorso del ragazzo, seguiamo quello di Jean Eustache, regista che in vita non ha ricevuto il dovuto apprezzamento, scontando - forse - un tormento che lo porterà dritto al suicidio. Motivo in più per rivalutare il suo cinema, in un tardivo e strano appuntamento in sala, avulso dalla moderna concezione cinematografica.

Conclusioni

I Wonder Classics porta al cinema per la prima volta Mes Petites Amoureuses - I miei primi piccoli amori di Jean Eustache, facendoci scoprire un autore dimenticato e un film scomparso. Come scritto nella nostra recensione, il film, con la fotografia di Néstor Almendros, è precursore nel genere dei coming-of-age, anticipando temi e linguaggi. Dall'altra parte, risulta marcatamente anacronistico dal punto di vista strutturale, e quindi avulso dal concetto distributivo moderno.

Movieplayer.it
3.0/5
Voto medio
4.0/5

Perché ci piace

  • La fotografia di Néstor Almendros.
  • Il formato 4:3.
  • L'essere precursore dei coming-of-age moderni.

Cosa non va

  • Un film per certi versi anacronistico, e poco comprensibile oggi.
  • Due ore, troppe, con un ritmo non straripante.