Recensione Lezioni di felicità (2006)

Autore impegnato, Schmitt ha scelto di debuttare dietro la macchina da presa con una commedia che tinge di fantastico surrealismo fanciullesco e dolcissimo romanticismo un messaggio contro i pregiudizi culturali.

Lezioni di volo

Commedia romantica immersa nel mondo naïf di un personaggio unico, una moderna Mary Poppins che trasforma magicamente i lati tristi della sua vita in gioia pura, religiosamente al ritmo di musica.
Lezioni di felicità è l'esordio registico di un grande scrittore, Eric-Emmanuel Schmitt, conosciuto dal pubblico internazionale per opere come Monsieur Ibrahim e i fiori del Corano- dal quale François Dupeyron ha tratto un film interpretato da Omar Sharif - o Le Visiteur. Autore impegnato e penna quasi mai leggera, ha scelto di debuttare dietro la macchina da presa con una commedia che tinge di fantastico surrealismo fanciullesco e dolcissimo romanticismo un messaggio contro i pregiudizi culturali.

Odette Toulemonde (Catherine Frot) è una donna qualsiasi, comune come il suo cognome, lavora come commessa in un centro commerciale in una cittadina belga grigia e monotona. È rimasta vedova con due figli problematici a carico e di notte cuce le piume sui vestiti delle ballerine delle riviste francesi. Non ha una particolare cultura, frequenta vicini di casa grotteschi, veste e vive nell'amore spassionato per tutti i clichè del kitsch: una collezione di bambole da fiera, un poster che ritrae due innamorati davanti a un tramonto e soprattutto i libri di Balthazar Balsan, autore amato esclusivamente da lettrici donne.
Ciò che la distingue da tutti gli altri è l'allegria con la quale affronta le sue giornate, una magia di infantile gioia di vivere che rende la cosa più banale un momento di surreale realizzazione della sua immaginazione. È la forza inspiegabile della sua fantasia e del suo animo buono che le fa spiccare il volo quando è felice, la fa danzare quando apparecchia la tavola o spolvera i trucchi sul banco di cosmetici su cui lavora, fa prendere vita agli oggetti che tocca e fa suonare una musica allegra come in un juke-box emozionale. Il mondo intorno a lei cambia ed è condizionato dal suo inarrestabile ottimismo. All'inizio può sembrare una scialba signorotta di periferia rinchiusa in una quotidianità fatta di emozioni fatue e ridicole, ma quando si entra nel suo mondo si capisce la ricchezza di un universo che canta insieme a lei, si comprende che dietro una persona così falsamente scontata è celato il tesoro più prezioso: la felicità.

La storia inizia con il giorno più importante per la vita di Odette, l'incontro con il suo scrittore preferito (Albert Dupontel), l'uomo che a suo avviso le ha salvato la vita e le ha dato una ragione per andare avanti. Purtroppo i minuziosi preparativi per il rendevouz non vanno a buon fine perché la protagonista, giunto il suo turno per l'autografo, non riesce a dire una parola a Balthazar e l'intellettuale parigino, imbarazzato, la liquida con poche battute. Questo non fa perdere le speranze alla testarda Odette che torna da lui un anno dopo con una lettera- su una carta rosa con degli angioletti sullo sfondo - per raccontarsi e cercare di esprimere la sua gratitudine per quell'uomo e le sue opere.

Balthazar non presta la minima importanza alla busta lasciata dalla protagonista, ma fuori da ogni previsione, dopo una serie di sfortunati eventi che fanno cadere lo scrittore in una profonda depressione, l'uomo andrà a ricercare Odette per prendere da lei delle lezioni di felicità. Tra i due individui, completamente diversi, nasce un legame profondo che oltrepassa l'atteggiamento solitamente da playboy di lui e il continuo distacco dalla realtà di lei. Balthazar si trasferisce per un periodo a casa di Odette, sistemando tra suo figlio Rudy (Fabrice Murgia), giovane gay che gira nudo nel corridoio con un amante sempre nuovo, sua figlia Sue Helen (Nina Drecq), in piena crisi adolescenziale, e il suo burbero e maleodorante fidanzato. Le scene che ne derivano sono di una comicità micidiale, prima tra tutte quella che ritrae lo scrittore con un pigiama da tigrotto del ragazzo omosessuale.

Il film fa incontrare due mondi solitamente slegati e lontani e apre gli occhi su come la saggezza nella vita sia un dono innato, rintracciabile persino nell'ignoranza di una donna agghindata da tulle e merletti. La sua semplicità e onestà d'animo sono ciò che la rende speciale e vanificano l'importanza della provenienza culturale delle sue parole. Schmitt vuole in questo senso spezzare una lancia a favore della tolleranza e lasciare tra le righe un messaggio contro i pregiudizi culturali e l'elitarismo intellettuale che spesso occlude la mentalità francese, ma non solo.

Il romanticismo del film è volutamente smielato ma purtroppo, con il passare dei minuti, tende ad appiccicare lo spettatore alla poltrona sotterrandolo sotto uno strato di glassa: andava forse smorzato di più soprattutto nel finale. Il tentativo registico, anche azzardato per essere una prima esperienza, di trasportare sullo schermo le metafore usate in letteratura e quindi di osare con gli effetti speciali è da apprezzare, anche se si nota il tocco acerbo con il quale sono state girate e strutturate le riprese. Gli attori sono bravissimi: la protagonista Catherine Frot, che aveva già fatto parte del cast di Ibrahim e i fiori del Corano, porta un'energia fortissima alla storia e rappresenta alla perfezione, con autoironia e delicatezza, il personaggio ridicolo e al tempo stesso saggio che titola il film. Albert Dupontel, lo scrittore fallito e depresso, ha gli occhi iperespressivi di un clown triste e sa essere di un'ironia irresistibile.
Il film si muove sulle note di Joséphine Baker e su una magnifica colonna sonora originale creata ad arte dal compositore italiano Nicola Piovani.