L’accusa, la recensione: la grande zona grigia

La recensione de L'accusa di Yvan Attal, tratto dal romanzo Le cose umane di Karine Tuil: un dramma processuale che analizza le diverse prospettive su un presunto stupro.

Ci chiedono di scegliere tra queste due vite, entrambe giovani e già distrutte. Bisogna sacrificare una vita a spese dell'altra? È la nostra unica soluzione?

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L'accusa: un momento del film

A vent'anni di distanza dal suo debutto dietro la macchina da presa con Mia moglie è un'attrice, Yvan Attal firma il suo settimo lungometraggio da regista, allontanandosi però dalla comfort zone della commedia brillante: come illustrato nella nostra recensione de L'accusa, infatti, con quest'opera Attal entra nel campo del dramma tout court, scegliendo di portare sullo schermo insieme alla sua co-sceneggiatrice Yaël Langmann il romanzo Le cose umane, pubblicato nel 2019 da Karine Tuil. Presentato fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia 2021, L'accusa impernia il racconto sulla serata trascorsa insieme da Alexandre e Mila e culminata in un episodio che sarà sviscerato in ogni suo dettaglio: quello fra i due ragazzi è stato un rapporto consenziente o un abuso sessuale?

Sesso e stupro: questione di punti di vista?

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L'accusa: una scena del film

Il titolo italiano riporta alla mente uno degli antesignani di questo specifico filone di drammi processuali: Sotto accusa di Jonathan Kaplan, in cui il personaggio di Jodie Foster si scagliava contro i pregiudizi nei confronti delle donne ritenute colpevoli di "essersela cercata". Se nel 1988 il film di Kaplan costituiva in primo luogo un atto di denuncia contro un sessismo diffuso a tutti i livelli della società, a più di tre decenni di distanza il dibattito su violenza e molestie è, fortunatamente, cambiato; e L'accusa non manca di prendere coscienza di tale cambiamento, sostituendo così a un approccio manicheo (più che comprensibile all'epoca) una prospettiva assai più complessa e problematizzante. In un presente contraddistinto dalle rivendicazioni del #MeToo e da una costante ridefinizione del concetto di "consenso", Yvan Attal ci offre dunque due punti di vista differenti sul rapporto sessuale consumato dai due protagonisti.

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L'accusa: un primo piano di Ben Attal
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L'accusa: una foto del film

Il primo corrisponde allo sguardo del ventenne Alexandre, interpretato da Ben Attal (figlio del regista e di Charlotte Gainsbourg). Di ritorno da una rinomata università negli Stati Uniti per un breve soggiorno a Parigi, Alexandre è il classico rampollo "nato con la camicia", vale a dire belloccio, un po' arrogante e viziato dai privilegi di una famiglia dell'alta borghesia intellettuale: suo padre è il noto giornalista televisivo Jean Farel (Pierre Arditi), sua madre Claire (Charlotte Gainsbourg) una scrittrice femminista militante, che si è risposata con un professore di letteratura, Adam (Mathieu Kassovitz). Quest'ultimo ha una figlia poco più che adolescente, Mila (Suzanne Jouannet), nata dal suo precedente matrimonio con Valérie (Audrey Dana) e cresciuta in un ambiente di ebrei ortodossi piuttosto conservatori, soprattutto per quanto concerne la sessualità.

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Responsabilità penale e fattore umano

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L'accusa: un'immagine di Ben Attal

Il film, la cui durata complessiva supera le due ore e un quarto, si concede tutto il tempo necessario a illustrarci il background dei due 'fratellastri', elemento indispensabile per cogliere il loro rispettivo modo di essere e per meglio comprenderne gli atteggiamenti e le reazioni. E proprio nell'ambito delle storie polifoniche sul tema degli abusi, L'accusa è uscito quasi in contemporanea con The Last Duel di Ridley Scott, con cui condivide la struttura a 'blocchi'. Ma un aspetto peculiare della pellicola di Yvan Attal è la rinuncia a quasi qualunque forma di suspense (o di ambiguità alla Rashomon) sulla vicenda al cuore della trama: se l'ellissi iniziale, e in seguito gli spezzoni di flashback, sembrano infatti alludere a un mistero su cui far luce, il punto è che, perlomeno nei fatti nudi e crudi, le versioni di Alexandre e Mila tendono sorprendentemente a coincidere.

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L'accusa: un'immagine del film
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L'accusa: una sequenza del film

Se pertanto non esistono dubbi sul loro rapporto sessuale, la vexata quaestio risulterà invece attinente alle dinamiche che hanno portato ad esso e ai sentimenti con cui è stato vissuto dall'uno e dall'altra. Sfruttando i canoni del film giudiziario, L'accusa ci trasporta così in quella "zona grigia" in cui ogni particolare necessita di essere analizzato e interpretato: non solo nell'ottica stringente - eppur talvolta nebulosa - della legge, ma anche secondo un'ottica morale che spesso si fa liquida, cangiante, indecifrabile. E mentre sul banco dei testimoni si alternano opinioni, ragioni e sfoghi di tutti i personaggi coinvolti, lo spettatore è chiamato a valutare non tanto la 'verità', quanto il fattore umano: i condizionamenti psicologici e sociali, le fatali intermittenze dell'empatia e le contraddizioni intrinseche a ciascun individuo.

Conclusioni

Alle prese con una materia narrativa alquanto ‘scivolosa’, in cui il rischio della retorica era sempre dietro l’angolo, Yvan Attal realizza un film coinvolgente e maturo, in grado di parlare con intelligenza dei nostri tempi e delle problematiche legate alla sessualità. Come abbiamo sottolineato nella nostra recensione de L’accusa, la profondità di sguardo e l’attenzione alle sfumature offrono molteplici ragioni d’interesse e numerosi spunti di riflessione, spingendo il pubblico a cimentarsi con gli interrogativi del processo e, magari, a rimettere in discussione la propria prospettiva.

Movieplayer.it
3.5/5
Voto medio
3.7/5

Perché ci piace

  • Una sceneggiatura che sviluppa la storia con rigore ed equilibrio, ma senza rinunciare alla complessità e senza risultare didascalica.
  • La capacità di affrontare la questione degli abusi sessuali mediante un approccio tutt’altro che schematico.
  • Un cast funzionale in tutti i suoi elementi, dai nomi già noti ai giovani protagonisti Ben Attal e Suzanne Jouannet.

Cosa non va

  • Alcuni elementi e personaggi che, giocoforza, risultano meno approfonditi nell’economia complessiva del film.