Recensione La terra (1930)

Realizzato durante il primo piano quinquennale di Stalin affrontando un tema analogo all'ejzenstejniano Il vecchio e il nuovo, Dovzhenko consegna alla storia un dramma epico sui primi tentativi di collettivizzazione dove l'attualità e gli aspetti propagandistici vengono assorbiti da quella che è definita la poesia della natura.

La terra di nessuno

La realtà cinematografica russa è ricca di importanti pellicole che hanno determinato la nascita di linguaggi capaci di influenzare le cinematografie contemporanee, ma ciò non è dovuto solo ai noti Eizenštein e Vertov (vero nome Denis Arkadevič Kaufman), ruolo fondamentale e non marginale, nonostante sia stato una figura isolata, è stato occupato da Aleksandr Dovzhenko; una carriere travagliata che tra le poche pellicole realizzate vanta un lavoro definito più volte uno dei migliori film della storia del cinema: La terra del 1930.

Ucraina, 1929. Al tempo della collettivizzazione della terra Vassilij è l'animatore di una cooperativa che intende introdurre nuove tecniche di coltivazione della terra. Ciò non significherebbe solo emancipazione del popolo ma anche crescita rispetto alle classi più agiate. Questa voglia di comunismo, rappresentata da un trattore simbolo del modernismo e del realismo socialista, si scontra con la volontà degli anziani legata alla tradizione e la paura dei Kulak (ricchi proprietari terrieri) nel vedere le proprie ricchezze svanire. "E' arrivato, è qui!", gridano i contadini entusiasti alla vista del trattore, che invece incute timore e paura verso i kulaki e rassegnazione verso gli anziani. Seguono sequenze di industrializzazione evocative del tragico evento ormai imminente; Vassilij viene assassinato da Čoma. In questi passaggi del racconto si nota la tragicità dei volti, tutti attori non professionisti, colta dall'ottima fotografia di Daniil Demuckij (disse il regista "ogni uomo può almeno una volta interpretare se stesso sullo schermo), che si sono disperati ma non arresi. Ciò che caratterizza la pellicola è l'inserimento nella storia della natura nella sua duplice forma: da un lato escono fuori nell'immaginario visivo la campagna, le messi, i girasoli, il cielo, il sole e in fine la pioggia, dall'altro lato i sentimenti, la volontà e i desideri degli uomini; tutto è realizzato con la metafora della giovinezza che, così come la natura, permea tutto il racconto.

Realizzato durante il primo piano quinquennale di Stalin affrontando un tema analogo all'ejzenstejniano Starde i noyde (Il vecchio e il nuovo), Dovzhenko consegna alla storia un dramma epico sui primi tentativi di collettivizzazione dove l'attualità e gli aspetti propagandistici vengono assorbiti da quella che è definita la poesia della natura.

Utile è quindi ora riprendere alcune delle più celebri sequenze di questo dramma d'amore sulla propria terra natia. Di sicuro e forte impatto visivo sono le sequenze del cadavere del giovane Vassilij che durante la marcia funebre è accarezzato da rami di alberi da frutto e girasoli così come la folla che lo seppellisce, una marea di contadini rappresentata come una mandria inarrestabile di cavalli selvaggi.
Fortemente criticato in patria, dove la Pravda lo accusò di "assenza totale di caratteristiche di classe nei personaggi e nelle forze in campo, di mancanza di motivazioni sociali ed economiche nelle loro azioni", oggi non è solo considerato un capolavoro di incredibile sensibilità permeato di panteismo, ma è anche principale ispiratore di cineasti geniali come Tarkovskij.