Recensione C.R.A.Z.Y. (2005)

Il film del canadese Jean-Marc Vallée non è solo un altro film sull'omosessualità: il regista non "bara", non cerca un coinvolgimento facile, ma al contrario mette in scena un autentico romanzo di formazione, sottolineando i conflitti (interni ed esterni), le paure e i disincanti di un adolescente degli anni '70.

La musica compagna di crescita

Ha una storia singolare, il giovane Zac Beaulieu: è nato il 25 dicembre, ha una famiglia numerosa, quattro fratelli (mal)assortiti e due genitori con cui i rapporti sono a dir poco complicati. Con il padre, in particolare, Zac vive il rapporto più problematico: il giovane è infatti costretto a reprimersi, a fingere di essere quello che non è, sforzandosi di trasformarsi in qualcos'altro: d'altronde, si sa, il percorso di auto-accettazione per un giovane gay nei tardi anni '70 è già tutt'altro che semplice, peggio ancora se ci si mette anche un padre che di un'ipotesi del genere, proprio, non vuole sentir parlare.

Presentato a Venezia nel 2005 e già premiato in vari festival indipendenti, questo C.R.A.Z.Y. si rivela debitore di molto cinema indipendente statunitense, specie in una regia sincopata ma elegante, che parla un linguaggio moderno senza perdersi in (finti) sperimentalismi, e in una messa in scena che fa della musica un elemento fondamentale della costruzione filmica. E' a ritmo di rock, infatti (e che rock: tra i tanti nomi coinvolti citiamo solo David Bowie, gli Stones e i Pink Floyd) che assistiamo alla crescita del giovane protagonista e al suo difficile processo di scoperta e accettazione di sé, chiuso tra l'ostilità del mondo degli adulti e quella di coetanei "alternativi" solo a parole, in realtà pronti a discriminare con studiata ferocia. Il film ha infatti, tra i suoi pregi, proprio quello di riuscire a raccontare gli umori di un'epoca partendo dal particolare, da una storia come tante che mostra su di sé i segni di un periodo contraddittorio, appena successivo a una "rivoluzione" (quella sessantottina) che non era riuscita a cambiare fino in fondo ciò che doveva essere cambiato.

Ma il film del canadese Jean-Marc Vallée non è, in fin dei conti, solo un altro film sull'omosessualità. Il regista non "bara", non cerca un coinvolgimento facile, evita di puntare le sue carte su un'ovvia quanto stucchevole martirizzazione del protagonista: al contrario, mette in scena un autentico romanzo di formazione, sottolineando i conflitti (interni ed esterni), le paure e i disincanti di un adolescente degli anni '70; ma soprattutto racconta l'amore, soffocato quanto incancellabile, tra un padre ed un figlio obbligati a venirsi incontro e a capirsi. Il tutto viene narrato con un tono da commedia, attraverso lo sguardo sognante del giovane protagonista, a volte dolcemente cullato a volte energicamente scosso dalle note di una musica da sempre compagna ideale di crescita.

La riuscita ed equilibrata sceneggiatura riesce così a dire cose importanti senza far (quasi) mai sparire il sorriso dalle labbra dello spettatore, con un registro capace di risultare fresco e divertente quanto verosimile e pregnante. Un risultato raggiunto grazie anche all'abilità degli interpreti, tra i quali spicca il giovane protagonista Marc-André Grondin e il suo affettuoso/problematico complemento, interpretato da un ottimo Michel Coté: ma è la freschezza della narrazione, unita alla sincerità di base degli intenti, a decretare davvero la riuscita di questa pellicola, sicuramente una delle più belle sorprese di questo scorcio conclusivo di estate. Speriamo che la collocazione in un periodo in cui il pubblico è ancora un po' distratto (quando non lontano dalle sale) non finisca per nuocerle: sarebbe davvero un peccato mortale.

Movieplayer.it

4.0/5