Recensione I cento passi (2000)

A Cinisi, Palermo, si consuma la storia vera di Peppino Impastato ribellatosi al padre mafioso e alla cultura del silenzio. I cento passi sono quelli che separano la casa di Peppino da quella del boss Badalamenti, suo zio.

L'ostinata lotta di un uomo onesto

Marco Tullio Giordana dirige un ottimo Luigi Lo Cascio con intensità e partecipazione.
A Cinisi, Palermo, si consuma la storia vera di Peppino Impastato ribellatosi al padre mafioso e alla cultura del silenzio. La sua adolescenza coincide con il '68. La denuncia di Peppino non conosce compromessi passando per i circoli culturali, comizi politici, e Radio Aut, l'emittente locale. I cento passi sono quelli che separano la casa di Peppino da quella del boss Badalamenti, suo zio.

Onora tuo padre è il primo e più importante comandamento per gli uomini di Cinisi. Onora tuo padre è la frase che Luigi Impastato ripete al figlio Peppino prendendolo per il collo e implorandolo di ripeterla, ascoltarla, seguirla. Già, l'onore! Quella parola che rimbalza sulle bocche degli uomini di mafia. Quella parola in nome della quale si commettono omicidi ed ogni sorta di efferatezze, coperte da un silenzio colpevole quasi quanto gli esecutori.
La pungente e scomoda ironia di Peppino, dai microfoni della piccola emittente libera Radio Aut, è l'arma più forte, l'esplosivo più potente contro il governo "dell'onorevole" don Tano, Gaetano Badalamenti, capo indiscusso del regno di Mafiopoli-Cinisi.
Ogni sopruso, ogni imbroglio, ogni ingiustizia viene smascherata dalle sarcastiche parole di Peppino, militante nel partito comunista, e disonore della famiglia.
Voce fuori dal coro, pecorella smarrita di quel gregge di pecoroni, che procede senza mai voltarsi.
Peppino ebbe il coraggio, la forza, l'incoscienza di voltarsi, di voltare le spalle a quello zio potente e pericoloso, e con lui a suo padre.

Il rapporto conflittuale tra padre e figlio, molto presente ne I Cento Passi, è anche il tema del ciclo al quale il film appartiene.
Nell'infanzia di Peppino, il padre è presente solo nell'impartire il rispetto e la sottomissione al clan, che si manifesta nella poesia imparata a memoria e recitata davanti a tutta la famiglia mafiosa.
Il punto di riferimento è invece l'amato zio Cesare, mafioso ma non accomodante, che per questo viene fatto saltare in aria.
Interessante è notare come al funerale dello zio, il piccolo Peppino rimanga in disparte; sprofondato in quell'enorme poltrona rossa, i suoi vispi e puri occhi neri guardano ogni cosa, scrutano ogni persona soffermandosi su zio Tano, che come entra fa abbassare gli sguardi e cessare le preghiere.
Poi l'adolescenza, di colore rosso come le bandiere che vuole rappresentare. Comunista si chiama il nemico dei mafiosi, Peppino il nemico di Cinisi.

Iniziano così le manifestazioni di piazza, i giornali di denuncia, le trasmissioni della radio di provincia, il '68 e le contestazioni. Impastato figlio si fa leader e portatore del movimento libertario contro Impastato padre, roccaforte di quei valori mafiosi tradizionali.
Con orgoglio e rabbia Peppino percorre quei cento passi, che separano la sua casa da quella di don Tano. Con passione e forza urla la sua indignazione verso i servili leccapiedi dei potenti, a partire da suo padre. Afflitto e rassegnato per aver fallito nell'educazione del figlio ribelle, Luigi Impastato preferisce partire, lasciare quella casa ormai disonorata. Ma il suo ritorno è un tentativo di riconciliazione, un ultimo disperato tentativo di proteggerlo. L'orgoglio paterno prevale su quello mafio so.
Un'altra figura interessante è la mamma Felicia, umile moglie e coraggiosa madre. Combattuta nei suoi affetti, ma mai dubbiosa nel coprire e proteggere il figlio.
Straordinari tutti gli interpreti, a cominciare dal protagonista Luigi Lo Cascio, nuova promessa del cinema italiano, fino al fedele compagno al quale è affidato l'ultimo commosso discorso a Radio Aut, prima di chiudere i battenti.

Una storia vera quella di Peppino Impastato, morto ammazzato a Cinisi il 9 maggio 1978, giorno in cui la stampa si occupava del ritrovamento del corpo di Aldo Moro, avvenimento ben più importante del piccolo siciliano di provincia. Suicidio si disse per vent'anni, prima che Gaetano Badalamenti fosse ritenuto responsabile. Le immagini finali del corteo funebre sono scandite dai pugni alzati, e accese dal rosso delle bandiere. Colore che sfuma in un bianco e nero, quasi a consacrare e consegnare quel piccolo uomo alla memoria, ripercorrendo quei cento passi, ora accompagnato da mille voci.