Recensione Sound of Morocco (2008)

Si limita ad essere essenzialmente un documentario illustrativo quello della Gamba, che attraversa il Marocco andando alla scoperta della musica che vibra e fa vibrare quei posti.

L'anima di un popolo è nella musica

I giovani marocchini appassionati di hip-hop tengono a precisarlo: quella americana è una cultura che non gli appartiene, con le icone del genere che sguazzano nell'oro, perché dalle loro parti invece c'è solo miseria, ma a fronte di una totale mancanza di denaro esiste invece una grande ricchezza in termini di idee e sentimenti. Al Marocco e al suo variegato patrimonio musicale è dedicato il documentario Sound of Morocco, diretto da Giuliana Gamba, tra gli Eventi speciali della quarta edizione del Festival del film di Roma, che va proprio a documentare la vitalità di un'arte che si fa espressione stessa di un luogo e del popolo che lo abita, della sua magia e della sua esuberanza. Ad accompagnarci in questo viaggio nella cultura musicale marocchina sono Nour Eddine, musicista originario di quei luoghi che vive però in Italia da vent'anni, e il giovane e talentuoso berbero Abdellah Ed-Douch, cantautore che celebra nelle sue struggenti composizioni l'amore per la sua terra: due sguardi e due voci che provengono da percorsi ed esperienze diverse, ma che sanno sposarsi per cantare insieme di questo forte sentimento che li lega al Marocco e al mondo arabo, in cui sperano un giorno regni finalmente la pace.

Si limita ad essere essenzialmente un documentario illustrativo quello della Gamba, che attraversa il paese da Tangeri a Essaouira, passando per Ouzzanne e Casablanca, andando alla scoperta della musica che vibra e fa vibrare quei posti. Nel tragitto filma la povertà di una concentrazione di misere casette sulle quali svettano centinaia di antenne paraboliche, che si ammassano in spazi stretti dopo chilometri di strade di sabbia. Sullo schermo scorrono scene di vita quotidiana che testimoniano la semplicità di quelle genti e un lavoro che, in qualsiasi luogo, continua a nobilitare l'uomo. E dappertutto è un pullulare di volti, anime e colori, ma soprattutto di musica, con il ritmo incessante dei tamburi e una partecipazione corale che sono i tratti distintivi di quest'arte "di strada". Ogni regione ha la sua particolarità musicale, ed insieme contribuiscono alla ricchezza del paese.
Tra i momenti più interessanti di Sound of Morocco la cerimonia che, nei fumi dell'incenso, conduce alla trance e che ben esprime la vocazione di un'arte che tende a portare l'individuo a uno stato superiore, così come il blues del deserto che, attraverso il ritmo eleva lo spirito e permette di giungere a un sentimento di gioia. Quella della musica è un'esperienza che sembra avvolgere il popolo marocchino, con il ballo continuamente stimolato da quei suoni e quei ritmi così incalzanti, e che prende a piene mani dalla sua terra, anche in senso materiale, con i tronchi d'albero e le pelli di cammello con cui si costruiscono alcuni degli strumenti tradizionali. La passione per questa cultura è papabile nell'opera della Gamba, la cui realizzazione risulta però alquanto ingenua e scolastica, mancando la possibilità di accattivarsi il pubblico con un'idea solida attorno alla quale legare questi suoni e queste immagini così vibranti.