Recensione La seconda volta non si scorda mai (2007)

Il film si accoda alla tendenza generale, nonostante gli sforzi di ridare ossigeno alla tradizione comica partenopea. Ma la voglia di Trosi, la bellezza della Canalis e le canzoni di Pino Daniele non fanno un film.

L'amore che illumina Napoli

Dalla Campania all'Italia. Da Ti lascio perché ti amo troppo a La seconda volta non si scorda mai. Stessi autori, stesso dialetto e stesse atmosfere. Probabilmente stessi titolisti. Qui, Giulio è un giovane agente immobiliare napoletano sotto le dipendenze della rigida milanese di turno. La madre è insegnante e si porta i compiti a casa, anche quelli appena maggiorenni e un po' radical chic. Il padre è noioso, ripetitivo e ha un'amante focosa e volgare. La sorella è fuggita a Arezzo dove convive con un "grullo" dalla famiglia benestante con tanto di sacerdote impettito tra il parentame. Fortunatamente a una festa di ex compagni di scuola rincontra la sua vecchia fiamma di quindici anni prima, che ora è avvocato e si sta per trasferire nella casa che Giulio deve vendere al suo uomo.

Purtroppo, nonostante alcuni sporadici e forvianti successi commerciali, la commedia italiana prosegue il suo spedito incedere verso il baratro, continuando a barcamenarsi tristemente tra soggetti, progetti e situazioni trite e ritrite, incapace di uscire da un'agonia sempre più evidente. Più che l'apparente assenza di sceneggiatori, autori e attori con un indiscutibile carisma, o con l'intenzione di dare un'impronta minimamente ricercata, a lasciare più sgomenti è una certa pigrizia realizzativa che ammanta l'intera produzione. Non è un caso a questo proposito l'utilizzo costante (e spesso davvero insostenibile) della voce off e di tutta una serie di scorciatoie narrative atte a dare continuità a una serie di siparietti comici più o meno riusciti. Alla generale stitichezza in termini di puro divertimento inoltre, fa da contrappeso il continuo e ossessivo ricorso al tema dell'amore, buttato furbamente e indiscriminatamente in pasto ad un pubblico sempre meno esigente. Ovvio che è il cinema, in definitiva, a rimanere sempre fuori. Come linguaggio, come modello di rappresentazione della realtà e soprattutto come esigenza. Diventa semplicemente sfizio o scommessa commerciale; un contenitore vuoto dove inserire contenuti standardizzati.

La seconda volta non si scorda mai si accoda alla tendenza generale, nonostante gli sforzi di ridare ossigeno alla tradizione comica partenopea. Ma la voglia di Trosi, la bellezza della Canalis e le canzoni di Pino Daniele non fanno un film. Al massimo una sequenza di situazioni tenute insieme meccanicamente e che sviluppano nello specifico anche un senso di indulgenza generale, più come risultato di una prima parte davvero preoccupante - la rimpatriata che genera l'incontro tra i protagonisti è probabilmente l'esemplificazione della scarsezza qualitativa e contenutistica del cinema italiano nel 2008 - piuttosto che per la bontà delle stesse. Alla lunga, invece il miglioramento delle situazioni comiche e l'affiorare di qualche personaggio abbastanza azzeccato rendono meno punitiva la visione. Ma tutto è tremendamente in superficie nel film di Siani e Marinotti. Una superficie vuota e riflettente, incapace anche di mettere in luce, attraverso la satira, la Napoli di oggi, vero e proprio rimosso di un film che si nutre del dialetto di una città nascosta dalla dittatura dell'amore.