Jeanne Dielman: com’è diventato il “miglior film nella storia del cinema”

La nuova classifica di Sight and Sound vede al primo posto Jeanne Dielman, 23, quai du Commerce, 1080 Bruxelles: ma a cosa è dovuto l'inatteso trionfo del film di Chantal Akerman?

Jeanne Dielman: com’è diventato il “miglior film nella storia del cinema”

Penso che sia un film femminista perché ho dato spazio a cose che non erano mai, o quasi mai, mostrate in quella maniera, come i gesti quotidiani di una donna. Si trovano in fondo alla gerarchia delle immagini cinematografiche; un bacio o un incidente d'auto sono più in alto. È perché si tratta di gesti femminili che contano così poco.

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Jeanne Dielman, 23, quai du Commerce, 1080 Bruxelles: un'immagine del film

In una sua frase celeberrima, Alfred Hitchcock dichiarava che "il dramma è la vita con le parti noiose tagliate". Se per estensione anche il cinema rientra appieno in questa definizione, può sembrare un paradosso l'approccio adottato da Chantal Akerman per Jeanne Dielman, 23, quai du Commerce, 1080 Bruxelles: un'opera che, contravvenendo al precetto hitchcockiano, sceglie di mostrarci le "parti noiose" della vita. Presentato ai Festival di Cannes e di Venezia nel 1975, Jeanne Dielman spingeva all'estremo il concetto del cosiddetto slice of life, ovvero lo spaccato sulla quotidianità di persone comuni: un approccio narrativo già alla base del neorealismo italiano e che, da lì a breve, avrebbe costituito una componente importante nello sviluppo del cinéma vérité. Lontanissima dunque da ogni logica commerciale, la pellicola della Akerman ha visto crescere la propria reputazione nel corso dei decenni a venire, fino allo straordinario risultato conseguito l'1 dicembre 2022: il primo posto nella prestigiosa classifica di Sight and Sound.

Citizen Kane
Quarto potere: un'immagine del film

Fondata nel 1932 come rivista ufficiale del British Film Institute, in occasione del suo ventennale Sight and Sound ha inaugurato una tradizione che avrebbe assunto sempre maggior rilievo presso l'attenzione dei cinefili: una classifica decennale dei migliori film nella storia del cinema. A conquistare la vetta, in quella prima edizione, fu Ladri di biciclette di Vittorio De Sica, mentre le cinque classifiche pubblicate fra il 1962 e il 2002 hanno sancito l'incontrastata supremazia di Quarto potere di Orson Welles, tallonato prima da La regola del gioco di Jean Renoir e in seguito da Vertigo - La donna che visse due volte di Alfred Hitchcock; e proprio il thriller hitchcockiano avrebbe compiuto nel 2012 un inatteso sorpasso sul folgorante esordio di Welles. Ma a dieci anni di distanza il duello fra Hitchcock e Welles, con Viaggio a Tokyo di Yasujiro Ozu come potenziale terzo incomodo, si è risolto in un esito clamoroso: un'impennata di consensi per Jeanne Dielman fino a raggiungere il gradino più alto della classifica.

Jeanne Dielman: due o tre cose che sappiamo di lei

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Jeanne Dielman, 23, quai du Commerce, 1080 Bruxelles: un'immagine di Delphine Seyrig

Tale dunque la sentenza degli oltre milleseicento critici coinvolti nel sondaggio: Jeanne Dielman, 23, quai du Commerce, 1080 Bruxelles è il più grande film di tutti i tempi. Un verdetto che come prevedibile, e come forse è giusto che sia (le classifiche non servono soprattutto a questo?), sta facendo discutere: perché al di là dei gusti personali, è innegabile che il capolavoro di Chantal Akerman non possa vantare, nell'immaginario collettivo, un peso paragonabile a quello di Vertigo o di Quarto potere (scesi rispettivamente al secondo e al terzo posto). Non solo: sebbene molti studiosi e appassionati di cinema abbiano visto - e amato - il film della Akerman, per molti altri si tratta invece di una lacuna da colmare. Se invece ci spingessimo al di fuori dei circoli cinefili, in ben pochi avranno anche solo sentito nominare Jeanne Dielman, e con buona probabilità la maggior parte degli spettatori 'occasionali' farebbe una discreta fatica a portare a termine una visione del genere: tre ore e venti minuti incentrati, appunto, sulle "parti noiose" nell'esistenza della protagonista.

Jeanne Dielman 23 Commerce Quay 1080 Brussels 1975 Delphine Seyrig Reflection
Jeanne Dielman, 23, quai du Commerce, 1080 Bruxelles: un'immagine del film
Jeanne Dielman 23 Commerce Quay 1080 Brussels 1975 Delphine Seyrig
Jeanne Dielman, 23, quai du Commerce, 1080 Bruxelles: Jan Decorte e Delphine Seyrig

Cos'è successo, allora? A cosa è dovuto l'impressionante balzo che, dal 2012 a oggi, ha portato Jeanne Dielman dal trentaseiesimo al primo posto nei favori della critica internazionale? E innanzitutto, per chi non si fosse ancora immerso nel magnum opus di Chantal Akerman: di cosa parla il "miglior film di sempre"? Il personaggio eponimo è una vedova quarantenne residente a Bruxelles, alla quale presta il volto l'attrice francese Delphine Seyrig (fra le sue interpretazioni più note, Muriel, il tempo di un ritorno di Alain Resnais e Il fascino discreto della borghesia di Luis Buñuel). Nell'arco di tre giorni, la Akerman ci fa entrare nella grigia routine della donna: le faccende domestiche, la preparazione di pranzi e cene, le rare parole scambiate con il figlio ventenne Sylvain (Jan Decorte) o con la vicina di casa, i fugaci incontri sessuali fra Jeanne e i 'clienti' che di pomeriggio bussano al suo appartamento. Azioni e gesti si ripetono in maniera meccanica, con poche varianti (per quanto talvolta significative, pur nel loro essere semi-impercettibili), fino alla svolta drammatica dei minuti conclusivi.

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Il manifesto femminista di Chantal Akerman

Chantal Akerman
Un ritratto di Chantal Akerman

Quando Chantal Akerman realizza Jeanne Dielman ha appena ventiquattro anni, uno in meno di Orson Welles quando diresse Quarto potere. Nata in Belgio, figlia di un'ebrea polacca sopravvissuta al campo di Auschwitz (dove invece i suoi genitori avevano trovato la morte), da adolescente la Akerman ha un'epifania al cospetto de Il bandito delle undici di Jean-Luc Godard e decide di indirizzare la sua propensione per la scrittura in direzione del "racconto per immagini". Nel 1968 gira il suo primo cortometraggio, mentre nel 1974 descrive alcuni aspetti di se stessa in Je, tu, il, elle, un film dal taglio semi-documentaristico che la vede impegnata pure come attrice. L'osservazione senza filtri della realtà, attuata in primis tramite lunghi piani sequenza, rimarrà un elemento-cardine del successivo Jeanne Dielman, in cui la Akerman mira non solo a scardinare determinate convenzioni narrative, ma a portare in primissimo piano il 'rimosso' del cinema: l'ordinarietà dell'esperienza femminile, spesso ingabbiata dal conformismo, scandita da un progressivo senso di alienazione e destinata a un'impenetrabile solitudine.

Jeanne Dielman 23 Commerce Quay 1080 Brussels 1975 Jeanne Peeling Potatoes
Jeanne Dielman, 23, quai du Commerce, 1080 Bruxelles: un'immagine del film
Jeanne Dielman 23 Commerce Quay 1080 Brussels 1975 Delphine Seyrig Inspecting
Jeanne Dielman, 23, quai du Commerce, 1080 Bruxelles: un'immagine di Delphine Seyrig

Alla sua uscita, Jeanne Dielman viene accolto con entusiasmo in ambito accademico (mentre resterà pressoché 'invisibile' al grande pubblico) ed è eletto tra i manifesti del movimento femminista: uno statuto a cui alludeva nel 2020 la serie TV Mrs. America, rievocazione delle campagne per i diritti delle donne negli anni Settanta, che in una scena mostra una proiezione del film alla National Women's Conference del 1977, mentre nell'epilogo gli rende un implicito omaggio rappresentando la Phyllis Schlafly di Cate Blanchett seduta da sola nella sua cucina, come Delphine Seyrig. Alla radicalità del rigore stilistico di Jeanne Dielman (il rifiuto della drammaturgia tradizionale, le lunghe inquadrature con macchina fissa) corrisponde infatti un'invettiva altrettanto radicale contro il malessere insito nel modello di vita piccolo-borghese: un'invettiva che si concretizza nella silenziosa implosione di Jeanne nel finale, con un emblematico atto di ribellione consumato fra le pareti del suo appartamento. In tale prospettiva, Jeanne Dielman sembra un'opera inscindibile dal proprio tempo; eppure, è evidente che la sua eco si sia diffusa ben oltre il contesto culturale e politico in cui aveva preso forma.

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La rivincita di Jeanne e il senso delle classifiche

Akerman
Una foto di Chantal Akerman

Dall'edizione in home-video nel 2009 nel rinomato catalogo Criterion alle retrospettive dedicate alla produzione filmica e artistica di Chantal Akerman, passando purtroppo per il suicidio della regista belga il 5 ottobre 2015, negli scorsi anni Jeanne Dielman ha saputo intercettare diverse istanze del femminismo contemporaneo e ha esercitato un'influenza diretta su cineasti quali Gus Van Sant, Todd Haynes e Sofia Coppola. A questo si aggiungano le nuove tendenze rivelate dalla classifica del 2022 di Sight and Sound, meno focalizzata sull'Europa e gli Stati Uniti e più aperta ad accogliere innovazione, avanguardia e titoli slegati dal canone classico: si inserisce in tale ottica l'ingresso nella Top 100 di registi come Agnès Varda, Spike Lee, Věra Chytilová, Céline Sciamma, Charles Burnett, Barbara Loden, Jane Campion, Julie Dash, Barry Jenkins, Hayao Miyazaki, Bong Joon-ho, Ousmane Sembène, Apichatpong Weerasethakul e Jordan Peele, nonché il settimo posto per Beau travail di Claire Denis e il primato della Akerman (in classifica anche con il documentario News from Home).

Jeanne Dielman 23 Quai Du Commerce 1089 Bruxelles 1975 Delphine Seyrig On Bed With Client
Jeanne Dielman, 23, quai du Commerce, 1080 Bruxelles: un'immagine del film
Jeanne Dielman 23 Quai Du Commerce 1080 Bruxelles
Jeanne Dielman, 23, quai du Commerce, 1080 Bruxelles: un'immagine del film

Le classifiche relative all'arte sono, per loro stessa essenza, opinabili e provocatorie, e qualunque tentativo di ridefinire il canone non può che suscitare dibattiti e polemiche. Pertanto, su Jeanne Dielman è stata appena apposta una 'etichetta' a dir poco impegnativa: lo sarebbe stata per chiunque, ma tanto più per un film costruito sui "tempi morti" e in cui, per tre ore, pare non accadere quasi nulla. Difficile, insomma, che una scelta del genere venga salutata da un plebiscito, o che da qui a breve Chantal Akerman acquisisca la medesima fama di un Orson Welles (e men che meno di un Alfred Hitchcock). E tuttavia, il valore delle preferenze espresse da Sight and Sound forse risiede appunto nel fatto di indurci a (ri)scoprire opere tenute ai margini del canone e che non hanno goduto della visibilità di altre pietre miliari del cinema, in quanto magari possono richiedere un 'impegno' maggiore, una mente più aperta del solito e il coraggio di avventurarci lungo strade meno note. Ma in fondo, non è proprio questo il bello delle classifiche?

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