Jane Austen, scrittice per il cinema

L'adattamento di Orgoglio e pregiudizio di Jane Austen ad opera del regista Joe Wright, ancora poco conosciuto agli amanti del grande schermo, che costituisce la seconda trasposizione cinematografica del romanzo (il primo film risale al 1940, ad opera del regista Robert Z. Leonard), preceduta anche da diverse serie televisive.

Jane Austen è una scrittrice che ha sempre affascinato registi e produttori, sia del piccolo che del grande schermo, basti pensare soltanto agli adattamenti di romanzi come Emma e Ragione e sentimento, probabilmente perché le sue opere possiedono un estremo rigore nella narrazione, una grande forza emotiva e un'ironia fuori dal comune. Tutte caratteristiche che, a volte, hanno portato a sottovalutare invece i delicati quanto fondamentali meccanismi delle relazioni tra personaggi e a sacrificarli all'impatto visivo immediato, allo "spettacolo" fine a se stesso.

Il regista Joe Wright, dal canto suo, prima di dedicarsi a questo film, ha realizzato numerose miniserie di successo, alcuni telefilm e cortometraggi, per i quali ha ricevuto diversi premi.
Questa versione di Orgoglio e pregiudizio apparentemente si attiene molto al testo letterario, presentandosi come una trasposizione piuttosto "fedele". La reinterpretazione di ambienti e situazioni familiari, nonché di ruoli e attori chiamati a interpretarli, risulta in linea di massima piacevole e, per alcuni versi, anche sorprendente. Prima di vedere questo film probabilmente nessun lettore della Austen immaginerebbe la casa dei Bennet come un ambiente chiassoso, disordinato e circondato di fango e animali. Scelta registica che magari potrebbe non essere da tutti ben vista, ma che in fondo dona nuova vita all'immaginazione di chi è rimasto un po' incastrato nello stereotipo della società di inizio Ottocento. E sicuramente conferisce un po' di movimento e vivacità rispetto alle altre opere che raccontano la piccola nobiltà inglese di provincia.
Gli attori scelti a interpretare i personaggi non protagonisti lo fanno con verve e ironia, attenendosi molto alle loro caratterizzazioni o, addirittura, aggiungendovi qualcosa, come nel caso del magnifico Donald Sutherland (nel ruolo del Signor Bennet), ma anche delle altrettanto superbe - e come potrebbe essere altrimenti? - Brenda Blethyn (la Signora Bennet) e Judi Dench (Lady Catherine De Bourgh). Il rapporto tra il Signor Bennet e la sua Signora, per esempio, assume anche delle connotazioni di tenerezza senile appena accennata che nel romanzo non sono presenti e che aggiungono un bel significato alla loro relazione. Allo stesso modo Judi Dench nelle sue brevi apparizioni interpreta con estrema alterigia, sottolineando così il suo profondo orgoglio di classe, quella stessa Lady Catherine che nel testo letterario appariva superba ma anche mondana, e che per ragioni di tempo non poteva essere descritta allo stesso modo nel film. Ma stiamo parlando, ovviamente, di attori che hanno una grande esperienza in ruoli di un certo spessore e che sono arrivati quasi a non aver bisogno delle indicazioni di un regista per recitare la propria parte in modo convincente.

Un bel po' di riserve rimangono, invece, per quanto riguarda gli attori protagonisti e le parti loro assegnate. A parte il fatto che Keira Knightley non fosse proprio l'attrice più indicata a incarnare Elizabeth - una ragazza non bellissima ma dal fascino particolare e dallo spirito brillante -, e che anche Matthew MacFadyen (il Signor Darcy) non splenda esattamente per espressività, i loro ruoli risultano a confronto molto semplificati, un po' appiattiti. I cambiamenti che dovrebbero avvenire, forti e tragici, benché stemperati dall'ironia, si notano appena e il discorso sulla contrapposizione tra il pregiudizio dell'una e l'orgoglio dell'altro si perde completamente. Cose che, ovviamente, non possono essere addebitate soltanto agli attori, anzi, costituiscono errori di regia. A meno che non si tratti di scelte vere e proprie, ma a quel punto non se ne comprenderebbe il perché, dato che in questo modo si perde una traccia fondamentale e attualmente ancora molto interessante contenuta nel libro. A una visione più approfondita, dunque, quello che poteva sembrare un adattamento alquanto "fedele" non risulta in fondo tale, perché i temi portanti, se ci sono, risultano appena accennati. Anche le relazioni tra personaggi, infatti, appaiono a momenti un po' traballanti, probabilmente anche a causa del fatto che siano stati esclusi dal film elementi di raccordo che nel libro risultavano molto forti per creare una successiva tensione drammatica, come la relazione nascente tra Elizabeth Bennet e il Signor Wickham, nel film lasciata cadere.

Le scelte di regia più interessanti appartengono al tipo di inquadrature: molti primi piani, dettagli e particolari delle mani, nonché movimenti di macchina veloci (soprattutto nelle scene dei balli) da un personaggio all'altro che sembrano voler sancire le relazioni tra di essi. Il carattere di "intimità" dato da questi elementi risulta sicuramente innovativo e coinvolgente per questo tipo di narrazione.
Da segnalare il fatto che alcuni dialoghi del libro, soprattutto i più brillanti e ironici, sono stati riportati tali e quali nel film, cosa niente affatto negativa, ma che anzi dà maggiore forza alla narrazione, perché dipinge con una sola battuta il carattere di alcuni personaggi.