Recensione Just the Wind (2012)

Un dramma cupo e angosciante per il regista Benedek Fliegauf, che vede al centro della storia una famiglia rom in grave pericolo.

Il vento dell'odio

Una famiglia in pericolo, una baracca fatiscente nei boschi, e la sensazione costante che stia per accadere qualcosa di terribile, questi sono gli elementi fondamentali sui quali si sviluppa Just the Wind, il bel dramma di Benedek Fliegauf presentato in concorso al 62esimo Festival di Berlino. La famiglia in questione tuttavia, non è una come tante, ma è una famiglia di rom che si ritrova a vivere con angoscia e senso di impotenza l'odio cieco nei confronti della loro comunità, che ha portato all'uccisione di cinque famiglie che vivevano nella zona.
Mari si divide tra due lavori e la cura del padre anziano, mentre sua figlia Anna va a scuola e coltiva il suo talento per il disegno. Il piccolo Rio invece non ha ancora trovato qualcosa a cui dedicarsi, ma più di tutti è quello che sente la necessità di dover cercare un rifugio "segreto" per sfuggire a qualcosa che potrebbe accadere mentre suo padre è lontano, e non può aiutarli. Mentre l'urgenza di trasferirsi in Canada, dove vive il marito di Mari, si fa sempre più forte, la famiglia è costretta a rimanere in un luogo così ostile, cercando di andare avanti e muovendosi con la massima cautela.

Per raccontare la storia al centro di Just the Wind (Csak a szél) il regista ungherese Benedek Fliegauf, da sempre vicino alla comunità romaní - tanto che ha selezionato gli interpreti del suo film tra questi ultimi - prende spunto da vicende di cronaca maturate in un contesto razzista, ma sceglie un approccio insolito, che offre una prospettiva differente sulle vite dei rom e permette allo spettatore di addentrarsi in una dimensione oscura e angosciante che trova terreno fertile in una storia in cui l'odio che incombe non è esplicito, ma se ne avverte la presenza costante, come un'ombra che segue i protagonisti in ogni momento delle loro giornate.
Mentre la bella fotografia di Zoltan Lovasi, sgranata e densa di colore, rende più suggestivi e inquietanti gli scenari in cui si sviluppa la storia, che si tratti della vegetazione che circonda la baracca, o il rifugio di Rio, lurido e fatiscente, lo sguardo della macchina da presa si incolla letteralmente ai personaggi mentre sono impegnati in attività quotidiane, come lavorare o studiare, oppure mentre vagano per i boschi circostanti, il cui silenzio è interrotto dai versi sinistri di un maiale, liberato dopo l'uccisione di un'altra famiglia di zingari.
Se nelle intenzioni di Fliegauf c'è la volontà chiara di raccontare il mondo dei rom in maniera slegata da qualsiasi cliché - quello degli zingari visti sempre in gruppo, o impegnati in canti e balli, per esempio - va anche detto che il regista mantiene un punto di vista equilibrato e non forzato. Anche la narrazione si mantiene essenziale, così come la recitazione, e questo contribuisce ad amplificare il senso di angoscia crescente, senza che questo sia veicolato da particolari escamotage narrativi.

Movieplayer.it

4.0/5