Recensione I segni del male (2007)

Inutile stare a puntualizzare come e perché il film non sia nemmeno lontanamente assimilabile ai suoi modelli, e di come banalizzi gli aspetti psicologici privilegiando l'effetto (speciale o no) di bassa lega.

I segni del male. Quello odierno.

Quello demoniaco - o comunque a sfondo religioso - è uno dei filoni più importanti del cinema horror. Dopo la sua esplosione, avvenuta negli anni Settanta, è andato via via scemando; oggi pare timidamente riaffacciarsi alla ribalta. Complice la rinata popolarità dei film dell'orrore in generale, ma anche per via dei tempi in cui viviamo, in cui i conflitti a sfondo religioso sono divenuti il nodo principale della politica internazionale e hanno conseguentemente rilanciato il fervore (spesso integralista) cristiano anche nelle società occidentali e nominalmente laiche. E questo è un elemento da prendere in seria considerazione, parlando de I segni del male.

Diretto da Stephen Hopkins, indiscutibilmente mediocre al cinema ma pur sempre regista di buona parte della prima stagione di 24, a livello superficiale il film sembra assemblare alla rinfusa elementi da L'esorcista (una protagonista che ha perso la sua fede e che deve indagare su elementi misteriosi ed apparentemente diabolici), da Il presagio (una bambina che pare essere l'incarnazione del Male), persino, nel finale, da Rosemary's Baby. Inutile stare a puntualizzare come e perché I segni del male non sia nemmeno lontanamente assimilabile a cotanti modelli, e di come banalizzi gli aspetti psicologici - irrimediabilmente centrali in questo genere di horror - privilegiando l'effetto (speciale o no) di bassa lega, costantemente cercando di far saltare lo spettatore sulla poltrona. Perché a volte il salto c'è pure, ma tutto si esaurisce lì, in maniera sterile e superficiale. E poco importano l'ambientazione insolita (ma fino a un certo punto), o la bellezza di Hilary Swank, sempre sudaticcia, sensuale, inquadrata spesso e volentieri ad altezza culo.

Quel che invece rimane, del film, è il tema centrale del conflitto tra fede e ragione, incarnato dal personaggio della Swank, ex missionaria che ha perso la fede e che è costretta a tornare sui suoi passi di fronte alla natura mistica degli eventi che doveva smontare attraverso la scienza e la razionalità.
Un tema che nelle sue modalità di declinazione e di risoluzione rende I segni del male un film teocon, ben più reazionario di titoli come I figli degli uomini o il recente 300, bersagliati dall'uno o dall'altro critico per il loro portato ideologico.
Forse I segni del male non è tanto intelligente da farsi coscientemente portatore di certe istanze (o forse lo sottovalutiamo), ma fatto sta che innestate su un intrattenimento e una forma film poco più che mediocri, queste risaltino sul resto. Pericolosamente.