Guardiani della Galassia Vol. 3, la recensione: un meraviglioso capitolo finale

James Gunn termina il suo percorso in casa Marvel Studios con Guardiani della Galassia Vol. 3, un film maturo, ispirato e struggente dedicato al senso d'appartenenza e alle ferite che ci rendono unici, confezionando un cinecomic che rasenta la perfezione.

Guardiani della Galassia Vol. 3, la recensione: un meraviglioso capitolo finale

James Gunn ha sempre avuto le idee chiare sul percorso dei suoi Guardiani della Galassia. Non ci è dato sapere se le cose sarebbero andate diversamente, qualora non fosse accaduta la vicenda del licenziamento e successiva re-integrazione, ma quel che è certo è che l'attuale co-ceo DC Studios non avrebbe desiderato comunque una successione infinita di sequel per il suo amatissimo gruppo di imbecilli. Li ha sempre sentiti suoi, sin da quando mostrò a Kevin Feige di essere la persona giusta per trasporli sul grande schermo con passione ed entusiasmo. In quasi dieci anni è cresciuto e cambiato con loro, restando sempre quell'autore un po' "weirdo" che tanto lo ha aiutato a immedesimarsi e concepire cinematograficamente i suoi Guardiani, re-interpretandoli in chiave personale e raccontandoli come una vera e propria famiglia di disadattati eroi spaziali, stramba e irresistibile eppure forte e umanissima.

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Guardiani della Galassia Vol. 3: una scena tratta dal trailer

È soprattutto con Rocket (Bradley Cooper) che James Gunn ha empatizzato di più, creando per lui un'evoluzione psicologica e caratteriale profondamente marcata e significativa, tanto da sentirsi in dovere di dargli una giusta conclusione, uno di quei finali che fanno bene anche quando fanno male, senza dimenticarsi ovviamente di mostrare qualcosa di intenso e maturo sul piano narrativo. Guardiani della Galassia Vol. 3 nasce proprio da questa esigenza-impellenza, rivelandosi a conti fatti lo straordinario capitolo finale di una saga pronta ormai a cambiare pelle e soluzioni, non prima di aver salutato il suo pubblico nel modo più emozionante e straripante possibile.

Tutti per uno e uno per tutti

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Guardiani della Galassia Vol. 3: Zoe Saldana e Chris Pratt in una scena

Il terzo e ultimo film dei Guardiani è una creatura diversa dalle precedenti. L'autore fa tesoro di una marcata sensibilità drammatica proveniente dalla sua grande affezione per i personaggi, cercando per loro giustizia. Vuole massimizzare il potenziale espressivo del proprio cinema senza cadere vittima di facili virtuosismi o semplificazioni emotive di sorta, confezionando un lungometraggio in grado di esprimersi al meglio della sua concettualità senza risultare narrativamente ridondante o mero esercizio estetico. C'è dentro il Gunn della Marvel ma anche quello della Troma, in un titolo produttivamente altisonante che questa volta vuole però affidarsi totalmente alle sue fragilità e alle sue caratteristiche più uniche che rare. Si avverte così una maturazione narrativa eccezionale che sa dove vuole arrivare e come arrivarci, partendo dall'essenziale, dal sentirsi veramente uno schifo.

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Guardiani della Galassia Vol. 3: una scena tratta dal trailer

Lo cantano i Radiohead in Creep ed è emblematico della situazione di Peter Quill (Chris Pratt) dopo la perdita di Gamora nella Guerra dell'Infinito (Zoe Saldana) e il mancato match amoroso con la sua variante del passato ora riscopertasi Ravenger. Come suggerisce Mantis (Pom Klementieff), Star-Lord deve "imparare a nuotare nel grande stagno della sua vita", ma nel mentre del down più clamoroso del leader dei Guardiani succede qualcosa di improvviso e preoccupante che destabilizza la situazione su Knowhere, costringendo il team a partire per la missione di salvataggio più delicata e importante di tutte. Per quanto semplice, la misura del concept è in grado di abbracciare con efficacia ogni singola transizione psicologica di tutti i protagonisti, dando ampio spazio al passato di Rocket come vera e propria storia d'origini del personaggio, dato che per comprendere dove si sta andando è essenziale capire da dove si è partiti.

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Guardiani della Galassia Vol. 3: Pom Klementieff, Zoe Saldana e Dave Bautista in una scena tratta dal trailer

E il vero cuore di Guardiani della Galassia Vol. 3 è questo: riconoscere la forza delle proprie unicità come grande arma di resilienza e sopravvivenza, scavando in ferite ancora aperte e sanguinanti (e questo è anche il caso di Quill) fino a trovare la forza di guarirle e suturarle. Cosa c'è di più umano di questo? Forsa le tridimensionalità che Gunn è riuscito a conferire al suo procione spaziale, trasformando un piccolo animale ferito e abusato in un protagonista esemplare, amico e compagno d'armi fidato, mente brillante ma sognatore spaventato. Il passo da colmare è quello che lo separa "dal cielo meraviglioso e infinito", un buco colmo di ricordi dolorosi che da soli danno peso e coerenza all'esistenza del film. Ed è proprio questa anima che va salvata, per salvare quella dei Guardiani stessi.

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Face the music

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Guardiani della Galassia Vol. 3: una scena tratta dal trailer

James Gunn imbastisce uno spettacolo fatto ancora una volta di enormi set pieces, scenografie e costumi pratici, effetti speciali usati dove e quando serve senza mai strafare. È cinema palpabile e mainstream nel senso più nobile del termine, qualcosa che in casa Marvel Studios mancava da tanto, troppo tempo. Guardiani della Galassia Vol. 3 è infatti un caso a parte, per cui vale lo stesso trasporto e lo stesso peso emotivo vissuto già in Infinity War ed Endgame, seppure con le dovute differenze. "Face the music", recita la tag line del film, e in effetti di conseguenze - a volte anche spiacevoli - si parla nel tessuto narrativo, spinto da una vena drammatica più marcata seppure sempre e comunque mitigato da ottimi dialoghi commediati e botta e risposta esilaranti. Per raccontare il passato di Rocket si utilizza enormemente lo strumento del flashback, inframezzato (a volte con soluzioni di montaggio un po' povere, in realtà) alla linea narrativa principale per quasi due ore.

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Guardiani della Galassia Vol. 3: una scena tratta dal trailer

Poi cambia la musica - è il caso di dirlo - e Gunn rilassa la vena di commozione personale per questo addio ai suoi personaggi e comincia ad accelerare con lo spettacolo. Nell'ultima ora l'azione torna protagonista e anche l'intuzione formale, estetica e coreografica trova una sua precisa scrittura, specie in un piano sequenza sulle note di No Sleep Till Brooklyn dei Beastie Boys che è quanto di meglio la regia action di Gunn potesse offrire in contesto. Nei primi atti c'è un crescendo di situazioni diversificate che vanno dall'heist-movie al dramma famigliare dove il senso d'appartenenza e il sacrificio per il prossimo sono le due chiavi di lettura principali, dopodiché si mischiano le carte e le suggestioni cinematografiche si accavallano senza demolirsi a vicenda, in un lungometraggio dal sapore più "contenuto" rispetto ai due capitoli precedenti ma al contempo più centrato, coinvolgente, spesso davvero toccante.

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Guardiani della Galassia Vol. 3: una scena tratta dal trailer

La cura è la stessa a cui l'autore ci ha abituati, ma questa volta persino la scelta del villain e del suo interprete, l'Alto Evoluzionario di Chukwudi Iwuji, si rivela straordinaria, vista e considerata la performance dell'attore di Peacemaker che qui regala un nemico freddo, impietoso e a tratti esagerato nella sua volontà di perfezionamento, esaltato e fuori controllo, megalomane e con manie quasi messianiche. Unica nota stonata è forse l'utilizzo di Adam Warlock (Will Poulter), che non raggiunge il massimale espressivo in cui speravamo ed è invece sfruttato ad hoc ai soli fini dell'intreccio, dove il focus resta sui Guardiani e la loro ultima avventura su grande schermo. Si arriva agli sgoccioli di questa saga decennale gonfi di soddisfazione e con un nodo in gola, con la mano e la penna di James Gunn che ci ricordano come il sapore amaro della fine non deve scoraggiare nessuno a vivere con pienezza e verità il dolce gusto di un nuovo inizio, a ballare con quelle ferite ormai lenite che prudono ancora, sommersi dalla consapevolezza di non essere soli e che in quel cielo meraviglioso e infinito fluttuano ancora miliardi di possibilità.

Conclusioni

Toccante e divertente, straripante di commozione e maturità, Guardiani della Galassia Vol. 3 è la perfetta conclusione della saga cinematografiche di James Gunn, uno spettacolo dove il dramma famigliare e l'importanza delle proprie unicità abbracciano battute, dialoghi e situazioni spesso esilaranti e altre davvero centrate. Tirando le somme della nostra recensione, l'autore ha confezionato il capitolo più intimo e personale del franchise, dove la tematica dei "weirdo" costituisce l'apice della sua narrativa emozionale e Rocket diventa contenitore e sostituto della stessa. Accompagnato da una colonna sonora roboante e da una delle più belle sequenze d'azione mai dirette dal regista, il film è quel cielo meraviglioso e infinito dove Gunn voleva portarci e lasciare i suoi amati personaggi prima di cambiare definitivamente casacca. La Marvel aveva bisogno di un cinecomic così.

Movieplayer.it
4.5/5
Voto medio
4.7/5

Perché ci piace

  • La regia di James Gunn, sempre ispirata e inventiva.
  • Il dramma di Rocket è trattato con una sensibilità disarmante.
  • La scrittura è la migliore del franchise.
  • L'alto evoluzionario di Chukudi Iwuji convince e sorprende.
  • La sequenza sulle note dei Beastie Boys.

Cosa non va

  • Adam Warlock un po' sottotono.