Evil Eye, la recensione: Un’ossessione che sopravvive anche alla morte

La recensione di Evil Eye, parte del progetto Welcome to The Blumhouse, che racconta la storia di una madre che farebbe di tutto per proteggere la propria figlia.

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Evil Eye: una scena del film

Dopo l'uscita nei giorni scorsi dei primi due film nati dalla collaborazione tra Amazon Prime Video e Blumhouse, la piattaforma streaming ha appena reso disponibili le ultime due pellicole a far parte del primo ciclo di Welcome to the Blumhouse (altre quattro arriveranno poi nel corso del 2021): Nocturne e Evil Eye. Come vedremo in questa recensione di Evil Eye, diretto da Elan e Rajeev Dassani ed ispirato ad un racconto uscito in esclusiva su Audible, anche in questo caso l'appartenenza ad un progetto comune è piuttosto evidente: oltre ad un basso budget di partenza e la regia in mano a nomi poco conosciuti, tutti questi film raccontano la famiglia ed il legame che lega chi ne fa parte attraverso una prospettiva unica e originale. Nel caso del film dei fratelli Dassani si parla di maternità ma anche di appartenenza culturale e del valore che attribuiamo alle tradizioni (quelle indiane, per quanto riguarda i protagonisti).

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Evil Eye: Sunita Mani, Omar Maskati in una scena del film

D'altronde - come ha dichiarato Jason Blum in una recente intervista a proposito di Welcome to the Blumhouse - con un basso budget di partenza bisogna cercare modi creativi di spaventare lo spettatore: meno mostri terrificanti ed effetti speciali, e invece un terrore più intimo, sottilmente inquietante, che vada a toccare ciò che per noi c'è di più sacro (la famiglia, in questo caso). Un discorso che funziona e che abbiamo ritrovato in altri dei film del progetto (qui potete leggere la nostra recensione di The Lie e di Nocturne), ma che non corrisponde particolarmente ad Evil Eye: pur trattandosi di un thriller (che ci ha ricordato a tratti il ben più riuscito The Invisible Man, sempre di Blumhouse), la tensione è poca ed il ritmo non è assolutamente quello di cui un film di questo tipo avrebbe bisogno. Una thriller che, se non fosse per la svolta finale (ad un certo punto anche piuttosto prevedibile), potrebbe sembrare anche una commedia, e che fallisce quindi nel creare la giusta tensione che una storia come questa richiede.

Una madre che vuole proteggere sua figlia

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Evil Eye: un'immagine del film

Pallavi (Sunita Mani) è figlia di due immigrati indiani che hanno vissuto per molti anni negli Stati Uniti e che ora sono tornati a Nuova Delhi, lasciandola a New Orleans a vivere la sua vita. Mamma Usha (Sarita Choudhury), però, vorrebbe ardentemente che la figlia trovasse finalmente un fidanzato e si creasse una famiglia. Quando Pallavi incontra quello che sembra essere il candidato ideale, Sandeep (Omar Maskati) Usha si dimostra assolutamente contraria alla loro unione: l'uomo le ricorda infatti un suo vecchio amante, che si era rivelato con il tempo un pericoloso stalker. Convinta che il nuovo fidanzato di sua figlia altri non sia la reincarnazione dell'oscuro personaggio (morto poco prima della nascita di Pallavi), la donna cercherà di ostacolare in tutti i modi il loro rapporto.

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Evil Eye: una scena del film con Sarita Choudhury, Sunita Mani

Questa storia, che si basa su premesse interessanti e particolarmente radicate nella cultura indiana (tutto il discorso sulla reincarnazione ad esempio), non riesce però mai a convincere fino in fondo: il tono ed il ritmo completamente sbagliati, come vi anticipavamo, non fanno altro che confondere lo spettatore alla ricerca delle atmosfere angoscianti tipiche del thriller. Per gran parte della pellicola ci sembra semplicemente di assistere alla storia di una madre apprensiva e piuttosto impicciona - l'interpretazione fin troppo sopra le righe di Sarita Choudhury in questo senso non aiuta - che non riesce a venire a patti con il fatto che la figlia stia crescendo (lontano da lei). Il fatto che manchi completamente una costruzione della tensione fa sì che, quando il colpo di scena finalmente arriva, lo spettatore non riesca comunque a dargli il giusto peso e a stupirsi davvero della svolta che prendono le cose.

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Un film che non convince

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Evil Eye: Sarita Choudhury in una scena del film

Tirando le somme di quanto detto fino ad ora non possiamo che sottolineare che, per quanto Welcome to the Blumhouse sia un buon progetto di cui apprezziamo la volontà di dare spazio a registi esordienti e poco conosciuti, Evil Eye non riesca affatto a distinguersi né come thriller psicologico (anche nel confronto con prodotti simili sempre di casa Blumhouse) né come horror. Se l'assenza di un giusto ritmo e tono è la mancanza più grave, a nostro parere, del film, anche il fatto che certi temi non vengano approfonditi come dovrebbero (dalle tradizioni indiane che influiscono sulla vita dei personaggi, al trauma subito da Usha) influisce su quanto lo spettatore venga coinvolto da quello accade sullo schermo. Soprattutto il discorso sulla violenza sulle donne, in un paese dalla realtà sociale complessa come l'India, avrebbe forse meritato molto più peso all'interno della storia.

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Evil Eye: un'immagine del film

Conclusioni

Concludiamo questa recensione di Evil Eye, nato dalla collaborazione tra Blumhouse e Amazon Prime Video, sottolineando ancora una volta quanto tono ed atmosfera in questo film non siano quelli del thriller. Il colpo di scena finale purtroppo non riesce a salvare una storia dal ritmo completamente sbagliato.

Movieplayer.it
2.0/5
Voto medio
3.5/5

Perché ci piace

  • Le premesse piuttosto interessanti con cui si apre questa storia.

Cosa non va

  • Il ritmo, l'atmosfera ed il tono, che non sono quelli del thriller e che fanno sì che il film non catturi lo spettatore.
  • Certi temi andavano approfonditi di più.
  • La recitazione un po' troppo sopra le righe degli interpreti, in particolare Sarita Choudhury.