Er Monnezza: a volte ritornano

Ritorna nella sale uno dei personaggi più celebri della stagione d'oro del cinema italiano di genere. A battezzarne la rinascita tutto il cast tecnico ed artistico.

Chi non conosce Nico Giraldi, detto il Monnezza, o meglio er Monnezza. Il poliziotto romano brusco ma dal cuore tenero e giusto, creato dal grande Dardano Sacchetti e scritto su misura per Tomas Milian. Il cinema italiano ci riprova, veste l'erede naturale del cubano dalla faccia sporca: Claudio Amendola, dei panni della guardia più sopra le righe del nostro cinema e tenta di rilanciare un personaggio a suo modo mitico, con un'operazione che sa anche molto di nostalgia. Ce la raccontano realizzatori ed interpreti.

Chi ha creduto di più nell'idea de Il ritorno del Monnezza?

Vittorio Cecchi Gori: Riguardando i tantissimi film fatti sul personaggio da mio padre con Bruno Corbucci dietro la macchina da presa, ho avuto modo di capire quanto funzionassero. Monnezza è un personaggio entrato dentro la gente e la diffusione del DVD ha confermato questo successo. Tanti vecchi film hanno addirittura più successo adesso e il vero motivo di questo è l'attualità del personaggio. Monnezza è eterno perché il suo obiettivo è la giustizia sempre e comunque, una sua giustizia raggiunta con mezzi spesso piuttosto al limite.

Come ci si confronta con un personaggio così amato? Enrico Vanzina: Con il massimo rispetto e la giusta cautela e soprattutto senza volerlo copiare ma seguendone gli stilemi e le caratteristiche. E' un progetto che mi ha affascinato molto. Carlo ed io, è un po' che cerchiamo di rivitalizzare i grandi temi e i grandi personaggi del cinema italiano degli anni '70 e non lo facciamo per mancanza di idee, ma per rimarcare che esisteva un cinema di genere molto popolare e semplice che ha creato personaggi, mode culturali e modi di parlare. L'importanza di ritornare a questo cinema è fondamentale, perché ci permette di riprendere a raccontare storie, invece che di dedicarci ai soliti ritriti personaggi trentenni con i dilemmi esistenziali.

Claudio, quanto c'è di tuo padre nel Monnezza e che ricordi hai di lui?

Claudio Amendola: Mio padre era il Monnezza, era la sua anima e in fondo a quel personaggio devo anche la mia infanzia agiata. D'altronde ha doppiato centinaia di grandissimi film eppure, quel personaggio è entrato nella memoria collettiva. Di papà ho un ricordo molto intimo ed importante. Vivevo la realizzazione di quei film sulla mia pelle: papà li doppiava e zio (Mario Amendola) li scriveva insieme a Corbucci. E' logico quindi che mi trovavo per scherzo a recitare le battute davanti allo specchio.

Esiste o no un cinema trash e cos'è?

Enrico Vanzina: Ormai il trash è qualcosa di super sofisticato! Una formula giornalistica sulla quale Quentin Tarantino ha messo un gran carico. C'è trash e trash, non va dimenticato. Pierino non è il Monnezza per intenderci. Monnezza è un gigante, un personaggio immortale più forte di tutto che va oltre il valore del prodotto. Più in generale però, il trash è un modo interessante della cultura moderna per rimettere in circolo personaggi entrati nell'immaginario.

E a quel gran regista di Steno, sarebbe piaciuto? Carlo Vanzina: Papà è morto troppo presto ed ha vissuto un cinema molto diverso. Diciamo che come persona ne era molto lontano. Era un vero signore; mangiava nei grandi alberghi e non amava il linguaggio volgare. Potremmo dire che gli sarebbe piaciuto, ma non l'avrebbe mai girato, perché non era nel suo stile. Il massimo a cui si è spinto è stato Febbre da cavallo che in ogni modo ha un linguaggio molto diverso e controllato.

A tale proposito siete così sicuri che ai giovani va offerto un cinema così volgare? Enrico Vanzina: Io non so d'accordo che sia un film volgare, per me lo sono più i film di Natale che abbiamo smesso di fare, ad esempio. Lì la volgarità è pretestuosa, mentre in Mondezza più giocosa e ironica, ma questa è una percezione soggettiva. Detto questo c'è un equivoco di fondo: esiste un paese reale e un paese inventato e nel paese reale le parolacce si dicono e rappresentano il modo di parlare dei ragazzi. Per comunicare con loro devi parlare come loro, altrimenti il cinema non racconta più la vita reale, possibilità che in realtà ci stanno sempre più levando, purtroppo.