Elle: l'ambiguo, irresistibile revenge movie al femminile di Paul Verhoeven... e Isabelle Huppert

Tratto dal romanzo "Oh..." di Philippe Djian, è un film coraggioso, disturbante e divertente allo stesso tempo quello con cui il regista olandese e la sua impareggiabile protagonista chiudono il concorso del 69. Festival di Cannes.

Quello dello stupro è un argomento inevitabilmente controverso nella sua rappresentazione culturale e mediatica. Da che esiste l'umanità, lo stupro è sempre stato la più raccapricciante espressione del dominio sulle donne, un'arma di guerra, uno strumento infallibile e odioso di potere e controllo sul corpo e sulla mente femminile. Ma lo stupro avviene oggi come ieri, avviene in questo preciso momento, a Raqqa, a Parigi, a Roma. Non è ignorandone la realtà e le molteplici, disturbanti implicazioni che possiamo combatterlo.

Elle: Isabelle Huppert in una scena del film
Elle: Isabelle Huppert in una scena del film

Tra le disturbanti implicazioni ci sono anche le fantasie femminili: prodotto criminale di una società patriarcale che condiziona le donne ad accettare la sottomissione fisica al punto di goderne, secondo qualcuno; una tra le tante "perversioni" che, tra adulti, sono in fondo innocue, secondo altri. Non vogliamo addentrarci in uno studio antropologico sul tema, non lo fa nemmeno Paul Verhoeven, ma è certamente uno tra i territori più ambigui che visitiamo in questo sorprendente Elle. Per una visita decisamente soddisfacente.

La vita dopo lo stupro

Elle: Isabelle Huppert e Paul Verhoeven in un'immagine dal set
Elle: Isabelle Huppert e Paul Verhoeven in un'immagine dal set

È proprio la violenza sessuale subita da Michèle/ Isabelle Huppert ad aprire il film, ma è immediatamente evidente che con questa creatura cinematografica andremo in un direzione inattesa e assai poco melodrammatica. Michèle sistema la cucina, si fa un bagno, e riprende la sua vita come se nulla fosse successo. Torna al lavoro - è CEO e fondatrice di una compagnia che produce videogiochi - spiega rapidamente all'ex marito e agli amici di quello che ha subito e informa noi della ragione per cui non intende andare alla polizia: ne ha avuto abbastanza di quella gente. Dei poliziotti, dei giornalisti, di tutti coloro che, tanti anni prima, in un'altra memorabile occasione, hanno cercato di trasformarla in vittima. E Michèle è molte cose, una donna aggressiva ed egoista, una madre e una figlia poco tenera, un'amica mendace, ma non è una vittima.

Elle: Anne Consigny in una scena del film
Elle: Anne Consigny in una scena del film

L'orribile fatto di sangue nel passato di Michèle - il massacro di bambini compiuto da suo padre quando lei aveva dieci anni - è un elemento cruciale con cui Verhoeven gioca con l'ambiguità delle sue opere migliori. Invece di raccontarci ciò che ha fatto di Michèle la donna indipendente, moderna e inusuale che è, sceglie di fare solo cenni che la nostra curiosità e la nostra fantasia potranno inseguire ed elaborare, che possiamo accettare così come sono, o rifiutare con sdegno, e tanti saluti.

Isabelle l'impavida

Il regista olandese e il principale produttore di Elle, Saïd Ben Saïd, avevano pensato inizialmente di ambientare l'adattamento dell'acclamato romanzo di Philippe Djian "Oh..." negli Stati Uniti, per poi decidere che "nessuna attrice americana accetterebbe un ruolo così amorale". In Francia, invece, e lo sappiamo da molti anni, c'è un'attrice meravigliosa che non ha paura di niente. Come Verhoeven fa suo il romanzo di Djian e la sceneggiatura di David Birke, Isabelle Huppert fa suo il film di Verhoeven.

Elle: Isabelle Huppert e Laurent Lafitte in una scena del film
Elle: Isabelle Huppert e Laurent Lafitte in una scena del film

In un film così poco organico e caratterizzato da virate di tono tanto imprevedibili - perché si passa dalla drammaticità e brutalità delle scene di violenza a momenti di vera e propria commedia - la capacità di controllo del personaggio da parte della protagonista è essenziale: sono la credibilità e l'istinto di Isabelle, ironica, tagliente, granitica, che tengono insieme il gioco dell'ambiguità. Per non parlare della sua sensualità fuori dal mondo: dove c'è Michèle c'è tensione sessuale, con gli uomini, con le donne, con gli elementi naturali e gli oggetti inanimati. Dopo il bellissimo Aquarius (anch'esso prodotto da Saïd Ben Saïd, sarà un caso?) un altro film in competizione al Festival di Cannes che celebra con gioia e consapevolezza la sessualità matura femminile ci sembra un regalo di cui essere incredibilmente grati. Così come siamo grati di ritrovare Paul Verhoeven in ottima forma, come un vecchio amico che qualche volta ci ha deluso, ma che evidentemente merita ancora fiducia.

Movieplayer.it

4.0/5