Recensione Onora il padre e la madre (2007)

Hoffman è il solito mattatore, ma non gli sono da meno un inquieto Ethan Hawke e Albert Finney, nel difficile ruolo di marito vendicatore e padre che non perdona. Lumet è tornato grande.

Delitto e castigo in famiglia

Sidney Lumet torna al cinema con un thriller che è prima di tutto un coraggioso dramma familiare nel quale i sentimenti in campo si scontrano e mutano in continuazione. E' la discesa all'inferno di una intera famiglia, al termine della quale il diavolo aspetta ognuno dei suoi componenti per far scontare loro le colpe di una vita terrena sciupata nella volgarità dell'individualismo e della noncuranza. A dare il via alla catena di drammatici eventi che porta dritta alla più classica delle peggiori tragedie è il bisogno di soldi di due fratelli: ad Andy servono soldi per mantenere uno stile di vita elevato, per la droga di cui si imbottisce ogni giorno e soprattutto per coprire gli ammanchi di cassa dell'azienda presso la quale lavora e dalle quali ha attinto a piene mani per permettersi i propri vizi; Hank è invece un giovane padre squattrinato che deve pagare gli alimenti all'ex moglie e nutrire perciò la loro figlia. Per recuperare in fretta una consistente somma di denaro Andy decide di organizzare il colpo perfetto, una rapina nella gioielleria di famiglia che sarà svaligiata dell'incasso settimanale e dei preziosi da ricettare, ma verrà ricompensata dai soldi dell'assicurazione, il tutto naturalmente senza far parola ai genitori. Dopo qualche resistenza iniziale Hank accetta e chiede l'aiuto di un complice che si occupi in prima persona del crimine, mentre lui farà da palo. Le cose però vanno storte ed in un imprevisto scontro a fuoco perdono la vita il giovane delinquente e la madre dei due ragazzi, che entrano così in un incubo dal quale sarà impossibile uscire indenni. Il padre si mette alla caccia del killer, i due provano ad escogitare un piano per farla franca, ma la resa dei conti è inevitabile, manda i due nel panico, ed ogni giorno che passa è sempre più vicina.

Caratterizzato da un montaggio non lineare, con numerosi salti temporali che raccontano la vicenda dai punti di vista dei vari componenti della famiglia (più precisamente da quelli maschili) Before the Devil Knows You're Dead manca di ritmo, ma può contare sulle ottime interpretazioni dei suoi superbi protagonisti. Quella che potrebbe legittimamente sembrare, per buona parte della sua durata, una comune, e non particolarmente brillante, storia di fratelli-coltelli (com'è stato per esempio l'inutile Cassandra's dream di Woody Allen visto recentemente alla Mostra di Venezia) si trasforma nel finale in un coraggioso e singolare confronto tra padre e figlio, un duello di sentimenti estremi vinto infine dalla sete di vendetta. Il castigo per il delitto commesso diventa un atto catartico consumato in nome dell'amore per la donna amata, a discapito del legame primordiale che lega un padre al proprio figlio, in questo caso il primogenito. Sul monitor dell'ospedale si mescolano i battiti cardiaci dei due uomini, ma la linea di uno dei due deve appiattirsi per poter permettere la degna conclusione dell'esistenza dell'altro.

Lumet sceglie di affidarsi per il suo nuovo film ad uno stimato commediografo alla sua prima sceneggiatura originale per il cinema. I difetti nel copione messo a punto da Kelly Masterson ci sono e si fanno sentire: la già citata mancanza di ritmo, dovuta anche ad una eccessiva ridondanza che una struttura narrativa così concepita (con il ritorno sugli stessi eventi da differenti angolazioni) inevitabilmente comporta, la scarsa caratterizzazione di alcuni personaggi ai margini della vicenda (come il personaggio di Marisa Tomei che sembra fungere soltanto da causa culmine del rancore tra i due fratelli) e il tentativo non perfettamente riuscito di inserire briciole di commedia in un racconto così drammatico. Quando però si tirano le somme il film tiene e anzi va molto oltre le nostre aspettative, grazie ad una necessaria amarezza di fondo e ai rischi che si prende nel chiudere la vicenda con un finale così forte e tragico che è destinato a restare impresso nell'animo dello spettatore all'uscita dalla sala. Il tutto orchestrato al meglio dalla regia elegante di Lumet e dalla sua capacità sempre formidabile nel dirigere gli attori: ne è un esempio la scena in cui Philip Seymour Hoffman sfoga la sua rabbia e la sua disperazione distruggendo con grande calma la sua casa, un controllo che rende più umano e realistico un gesto visto altrove troppe volte caricato. Hoffman è il solito mattatore, ma non gli sono da meno un inquieto Ethan Hawke e Albert Finney, nel difficile ruolo di marito vendicatore e padre che non perdona. Lumet è tornato grande.