Recensione Io non ho paura (2003)

Dopo l'ottima accoglienza al Festival di Berlino, Io non ho paura, l'ultimo film di Gabriele Salvatores, arriva nelle sale italiane e porta una boccata d'aria fresca al cinema nostrano.

Crescere senza paura

Dopo l'ottima accoglienza al Festival di Berlino, Io non ho paura, l'ultimo film di Gabriele Salvatores, tratto dall'omonimo romanzo di Niccolò Ammaniti qui anche co-sceneggiatore, arriva nelle sale italiane e porta una boccata d'aria fresca al cinema nostrano che, diciamolo pure, non sta vivendo certo una grande annata. Il regista prosegue nella sua personalissima e, purtroppo, solitaria opera di svecchiamento del nostro modo di fare cinema, allontanandosi però dagli eccessi modernisti dei precedenti Nirvana, Denti e Amnèsia, ma realizzando un film visivamente ineccepibile e dagli interessanti contenuti.
Ad aiutarlo in questo c'è il romanzo a cui fa riferimento, ma anche la sapiente scelta di non limitarsi a raccontare una storia, ma il punto di vista di un bambino che viene a contatto con una realtà terribile e spaventosa: la perdita dell'innocenza, la fine dell'infanzia e il primo vero contatto con il terribile mondo degli adulti.
Ma Michele non ha paura ed è così che quando, giocando con altri suoi coetanei nei vasti campi di grano che circondano le loro case, scopre un pozzo in cui è tenuto segregato, per ragioni che la sua innocenza e la sua giovane età gli impediscono di intuire, un altro bambino, decide di aiutarlo e di diventare il suo angelo custode.

A suggerire una maggiore partecipazione alla vicenda c'è la splendida fotografia di Italo Petriccione che alterna un gran numero di riprese ad altezza bambino, quasi a suggerirci una visione non solo del film ma del mondo intero attraverso i loro occhi, ad alcune splendide carrellate dall'alto che rendono giustizia allo splendido scenario rappresentato da un afoso Sud Italia, un contrasto forte così com'è forte la differenza di luci e colori che troviamo tra l'esterno fatto di campi di grano e cieli limpidissimi e l'oscuro e tetro pozzo al centro della vicenda. La trama ci viene man mano rivelata sempre attraverso il punto di vista del giovane protagonista, origliando e spiando da dietro le porte il mondo degli adulti, provando diffidenza per Sergio, l'amico nordico del padre interpretato da uno straordinario Diego Abatantuono che ha una moglie "negra" e che parla del Brasile come di un paradiso in cui si vive da re, e soprattutto allontanandosi lentamente ma progressivamente dagli altri bambini ormai ancora troppo spaventati e infantili per condividere i suoi segreti e le sue angosce.
La splendida musica del film è costituita quasi esclusivamente da archi, scelta coraggiosa ma vincente, riesce infatti a seguire perfettamente gli stati d'animo del protagonista, e degli spettatori, costantemente tra tensione e dramma.
Tutti questi elementi convergono in un film bellissimo, realista quanto basta, grazie anche alle incredibili interpretazioni di un cast misconosciuto e soprattutto dei giovanissimi Giuseppe Cristiano e Mattia Di Pierro, ma allo stesso tempo dalle forti emozioni, una sorta di thriller intimista che rilancia nuovamente Salvatores nell'olimpo degli autori di casa nostra e si propone con decisione tra i migliori film italiani degli ultimi anni.

Movieplayer.it

4.0/5