Recensione Basta che funzioni (2009)

Attraverso l'incontro tra un geniale misantropo e un'ingenua ragazzina del sud, Allen ci illustra il suo antidoto all'indifferenza del mondo: accettare quello che il caso ci permette di godere, senza pregiudizi, perché niente è troppo assurdo per durare, "basta che funzioni".

Come essere felici, nonostante tutto

Una buona notizia per i suoi fan: Woody Allen è tornato a New York. La città che è stata insieme teatro e protagonista delle sue pellicole più amate, forse perché effettivamente più riuscite delle altre o forse perché si sa, le cose lontane nel tempo tendono sempre ad acquisire valore, subentra alle capitali europee che il regista aveva ultimamente privilegiato come location, e che si sono rivelate una scelta parecchio discussa. Magari perché al cambio di ambientazione Allen aveva accompagnato anche una certa variazione nel registro dei toni, diventati più cupi e beffardi nel mettere a nudo le consuete ansie protagoniste delle sue pellicole, che ci erano state somministrate in passato indorate da una più ben massiccia dose di (auto)ironia. E chi lamentava anche questa insoddisfazione, può finalmente tirare un sospiro di sollievo, perché in Basta che funzioni si ride e ci si diverte, sempre nevrosi e pessimismo permettendo, si intende.

Ad incarnare insoddisfazione e generale disprezzo per il genere umano è stavolta la persona di Boris Yellnikoff, proclamatosi (e d'altra parte riconosciuto) genio che, dopo il fallimento del proprio matrimonio con la ricca, bella e intellettualmente stimolante Jessica culminato con l'immancabile tentativo di suicidio, vive in uno smorto appartamento e sbarca il lunario dando lezioni di scacchi ai ragazzini, o per meglio dire insultandoli e umiliandoli ad ogni possibile occasione. Nell'esistenza votata alla misantropia di Boris si intrometterà però Melody, una giovane donna scappata dalla propria vita casa e chiesa del profondo sud e che implorerà proprio il bisbetico intellettuale di ospitarla per qualche notte. E, nonostante Boris la consideri "stupida oltre ogni immaginazione" e non perda occasione per insultarla, Melody si approccerà all'improvvisata convivenza con positività e ottimismo, aiutata anche dal fatto che le elaborate invettive del padrone di casa sono forse troppo complicate per lei da capire. Seppure improbabile, la coppia funziona: Melody è l'unica in grado di calmare Boris durante le sue crisi di panico, e il genio, dal canto suo, partendo dalla teoria delle stringhe e arrivando all'abolizione dei cliché, saprà insegnarle parecchie cose. Sarà l'arrivo in città della madre di Melody prima, e di suo padre poi, a portare zizzania nella vita matrimoniale dei due: si, perché perfino il quasi premio Nobel Boris ha dovuto accordare agli elementi d'irrazionalità dell'esistenza la loro importanza, e di conseguenza ammettere la possibilità di relazioni umane felici, almeno provvisoriamente.

Ancora una volta, quindi, sarà l'amore a determinare il destino di tutti: dall'amore di Boris per se stesso e per la propria penetrante intelligenza, a quello di Melody per il mondo in tutte le sue più disprezzabili sfaccettature, all'amore vissuto per la prima volta (e separatamente) dagli strambi genitori della ragazza. Ma l'amore da solo non basta a nulla, serve un'altra forza, ancora più misteriosa e imperscrutabile: quella del caso, della fortuna, che fa incontrare persone tanto diverse e le mette in grado di comunicare, e di scoprire una parte diversa, forse quella più desiderata e desiderabile di sé. Ad esempio l'anima artistica di Marietta, relegata nel ruolo di madre e moglie modello, come da manuale piantata per la propria migliore amica, che a New York troverà finalmente la sua dimensione tra le braccia di due uomini (contemporaneamente), mentre il marito, abbandonata l'amante, coltiverà sogni d'amore e imprenditoriali con il nuovo compagno. Anche stavolta, quindi, si riflette sul sesso: non a caso sarà Melody, con il solito candore, a descrivere le gioie dell'amore fisico a Boris che, se dapprima si mostrerà a dir poco disgustato, poi si convertirà a una posizione più moderata, e la realizzazione dei genitori si basa anche e soprattutto su una liberazione sessuale. Tema altrettanto caro ad Allen è quello della religione, e come esprimerlo meglio che attraverso il contrasto tra un ateo impenitente, il cui pessimismo è diretta conseguenza della convinzione che noi tutti ci stiamo muovendo ineluttabilmente verso il nulla, e una famigliola distrutta dall'illusione che preghiere e devozione l'avrebbero protetta da tutto? La verve dissacrante che è uno dei marchi di fabbrica del regista si nutre qui tanto del personaggio di Boris, in effetti molto simile al personaggio Allen, tanto della "parte avversa", quella degli scemotti del sud: nessuno è al riparo dagli strali della bonaria presa in giro, ogni sfaccettatura caratteriale viene dissezionata nei suoi aspetti più comici e paradossali. E' forse questo l'unico metodo per uscire dalla condizione cronica di insoddisfazione in cui si trova, più o meno consapevolmente (e nel caso di Boris, molto consapevolmente),qualsiasi essere umano: sbugiardare le nostre convinzioni sbagliate, anche se sono le uniche che abbiamo, e cercare a poco a poco la felicità, persino nei posti che ritenevamo i più improbabili.
Certo, questo metodo non sarà infallibile, e ci trascinerà in una ricerca che forse non troverà mai la sua fine. I più intelligenti di noi magari sono condannati davvero alla solitudine, perché troppo difficili da sopportare, troppo tormentati, troppo inquieti, ma nemmeno loro dovrebbero rinunciare a provare. Tanto più che qui non siamo in Vicky Cristina Barcelona, in cui le protagoniste, dopo tante peripezie, si ritrovavano esattamente allo stesso punto di prima: qui anche Boris, seppur attraverso un secondo rocambolesco volo dalla finestra, ha capito che vale sempre la pena tentare, e che è anche quel tentare che ci permette di sopravvivere in questo mondo incurante di noi.

Movieplayer.it

4.0/5