Breve incontro con Rodriguez

Breve carrellata su un autore emergente e anticonformista del cinema statunitense.

Risale ormai al 1992 il lontano esordio di quello che poi si è rivelato un eclettico autore, quale Robert Rodriguez. Si può tentare di trarne un bilancio, un giudizio seppur approssimativo di quella che si è rivelata una florida carriera.
Ha stupito tutti quando, nel 2001, si è prestato all'operazione di Spy Kids. Il grande blockbuster per famiglie appariva di sicuro lontano dalle corde di un regista che era diventato famoso per la mancanza di filtri emotivi e visivi con cui metteva in scena le sue sequenze adrenaliniche, piene di sangue e di eroi.

Ma andiamo con ordine. Rodriguez nasce come regista a soli 24 anni, con quello che oggi si può considerare un piccolo cult per gli appassionati: El Mariachi. Poco più di sessanta milioni delle vecchie lire, una grandissima grinta e voglia di emergere, e una passione smisurata, hanno dato vita ad un film molto ambizioso, a ragione, rispetto al piccolo budget messo a disposizione. E il regista texano lo sfrutta fino in fondo, ponendo le basi per una ricerca di genere che andrà avanti fino a fine millennio.

A Rodriguez piace infatti scherzare con i generi, giocare con le sensazioni create davanti lo schermo. Ed è un continuo nascondino con gli action movie di serie B, i tv movie, nei suoi primi due film, che però fanno subito registrare una prima contraddizione: mentre il primo fa del suo punto di forza la capacità d'ironizzare su sé stesso, e tramite l'autoironia raggiungere un "genere" di film, il secondo, Desperado, cede proprio alla tentazione di prendersi troppo sul serio, cedendo forse alle lusinghe di una notorietà arrivata presto e di una grande, grandissima ambizione.
E' in questi anni che Rodriguez stringe un legame di profonda amicizia con l'enfant prodige dello star system hollywoodiano, Quentin Tarantino. Amicizia che caratterizzerà anche, per buona parte delle rispettive produzioni, un modo di vedere il cinema frenetico e sublimante, che non concede nulla alla riflessione o all'introspezione spicciola.
Il legame con il regista di Pulp Fiction si palesa (anche attraverso la partecipazione dell'"attore Quentin" al progetto) in Dal tramonto all'alba, vera e propria opera in due tempi, che rivela il lato sadicamente autocompiaciuto di un Rodriguez forse al massimo della sua forma.
Di lì a poco, sempre con l'amico Tarantino e con altri due registi emergenti, dà vita al curioso esperimento di Four Rooms, film a episodi.

Dopo la parentesi non felice, ma lineare, di The Fculty, che rispetta i canoni di un'evoluzione naturale di un'etica registica, la svolta. Rodriguez si dà al film per famiglie.
Diverse le interpretazioni di questo cambiamento, a noi interessa avvalorare solamente quella di un regista teso e convinto di fare del buon cinema. Gli esiti purtroppo non sono buonissimi, anche se una certa coerenza visiva è da riscontrarsi nell'opera.

Ma il texano compie un'altra svolta radicale di lì a poco, decidendo di dirigere a quattro mani con il fumettista Frank Miller Sin City, film tratto dall'universo dei comics statunitensi, riprendendo contenutisticamente i temi già trattati in passato, ma rinnegandone completamente la forma e gli stili di narrazione.
Quanto queste svolte siano dettate da una voglia d'esplorare episodicamente nuovi terreni di produzione, o da una ricerca di nuove forme per incanalare un giovane talento in espansione, ad oggi non è dato saperlo. Si può dire a ragione che oggi, a tredici anni dal suo esordio, chi sia veramente Robert Rodriguez non possiamo ancora del tutto dirlo.