Recensione Incubo mortale (2005)

Lontano da oramai troppo tempo dagli schermi delle nostre sale, con Cigarette Burns John Carpenter ha regalato un piccolo gioiello a quanti erano in crisi d'astinenza dal suo cinema.

Bentornato Carpenter!

Lontano da oramai troppo tempo dagli schermi delle nostre sale, con Cigarette Burns John Carpenter ha regalato un piccolo gioiello a quanti erano in crisi d'astinenza dal suo cinema.
La storia che il regista americano raccontata nei canonici sessanta minuti della serie Masters of Horror è quella della ricerca su commissione di una pellicola "maledetta", La fin absolue du monde, proiettata per la prima (ed ufficialmente unica) volta durante il festiva di Sitges. La radicalità del film scatenò panico e violenza incontrollabile nell'audience, e la proiezione terminò con un terribile bagno di sangue. Da allora, il film è leggendario e introvabile. Chi ne va a caccia è Jimmy Sweetman, uno squattrinato gestore di una cinefilissima sala cinematografica, chi commissiona la ricerca è un ricco collezionista di celluloide che ha visto tutto il visibile ed ha più di uno scheletro nell'armadio. Nel corso della sua ricerca, il protagonista diverrà sempre più ossessionato e "posseduto" da La fin absolue du monde, fino ad un violento ed allucinato finale.

Cigarette Burns è un perfetto esempio del Carpenter più concettuale - non a caso in molti hanno fatto paragoni non peregrini con Il seme della follia - ma allo stesso tempo rimane forte portatore delle radicalità più carnali dell'autore. Costretti, stipati nei sessanta densissimi minuti dell'episodio ci sono una quantità vertiginosa di temi e di tematiche, tutte riconducibili ad una profonda riflessione metalinguistica, filosofica, esistenziale, ontologica sul cinema e sul rapporto di esso con chi lo fa e chi lo guarda.
La fin absolue du monde non è un film, ma tutti i film. L'operazione di Carpenter è quello di regalare una carica mitico-mistica ad un unico titolo per simboleggiare e raccontare l'amore/ossessione per la Settima arte, il legame allo stesso tempo spirituale e carnale degli appassionati con i loro film feticcio. Al di là degli accenni - pur interessanti - sul tema della violenza sul grande schermo, è il cinema nel suo complesso ad essere analizzato da Carpenter. Il cinema visto come potentissima carica virale in grado ammaliare, sconvolgere, evocare, persino distruggere. Cinema-virus che entra negli occhi e nella carne di chi fa e di chi guarda. Ed è proprio nel momento e nell'atto della visione - spazio liminale d'interfaccia tra realizzatore e spettatore - che il cinema trova la sua catastrofe, il film stesso si fa immagine catastrofica e risolutiva delle tensioni di entrambe le parti.

De La fin absolue du monde (e di Cigarette Burns) Carpenter fa/racconta una (personalissima) etica della visione, dove si ritrovano l'idea tutta di cinema del regista, le sue ossessioni, il suo lavorare su corpi e carne in maniera spesso metafisica ma concreta al tempo stesso, l'amore per il genere.
Il cinefilo ossessionato e prigioniero della sua ossessione, il regista divorato dalla sua stessa opera, il collezionista che non avendo più nulla da vedere si fa film, il critico sopravvissuto alla prima proiezione perché investito dell'obbligo di raccontare: sono tutte figure emblematiche di Cigarette Burns, saggio carpenteriano sull'etica e lo scandalo della visione, omaggio sentito all'amore per cinema, anarchico quanto basta (come le pellicole cui il protezionista del cinema di Sweetman ha sottratto i fotogrammi "segnati" che danno il titolo all'episodio) da evitare facili intellettualismi e stupire, spiazzare ed ammaliare lo spettatore.