Recensione La frusta e il corpo (1963)

Giocato tutto sulle allucinazioni ossessive ed intriganti dell'interprete femminile Daliah Lavi, il film è sostanzialmente un horror psicologico piuttosto oltraggioso per tematiche,ben orchestrato e ricco di notevoli raffinatezze

Atmosfere morbose

Titolo leggermente minore di Mario Bava (almeno se paragonato a La maschera del demonio, Operazione Paura, Sei donne per l'assassino e Reazione a Catena) in termini di importanza postuma, La frusta e il corpo è il misterioso racconto di un ritorno malvoluto in una famiglia di nobili dell'800. Il perfido Kurt, infatti, getta scompiglio nei piani familiari e matrimoniali, mettendo inizio ad una serie di omicidi a catena, tutti derivati dal suo morboso e masochistico rapporto di amore e odio con la sua ex promessa sposa.

Giocato tutto sulle allucinazioni ossessive ed intriganti dell'interprete femminile Daliah Lavi, il film è sostanzialmente un horror psicologico piuttosto oltraggioso per tematiche, ben orchestrato e ricco di notevoli raffinatezze. Affine per atmosfera ad altre produzioni del periodo come L'orribile segreto del dottor Hichcok e Lo spettro (entrambi di Riccardo Freda) e al suo I tre volti della paura, la pellicola è penalizzata da un plot poco avvincente, per non dire statico. Bava da par suo sopperisce alla pochezza della sceneggiatura con atmosfere rarefatte e morbose, affidando a queste tutto l'onere della suspance, anche se di frequente l'estrema lentezza ed ossessività della narrazione può mettere a dura prova lo spettatore.

I motivi di interesse sono comunque molteplici: dalle numerose, virtuosistiche trovate visive, alla sfarzosità della messa in scena, all'uso affascinante dello zoom, del grandangolo e del carrello (nel mitico uso che ne ha sempre fatto Bava). L'uso delle luci è come sempre straordinario ed aiutato in questa occasione dall'ottima fotografia in Technicolor di Ubaldo Terzano, che ricorda molto quella che userà successivamente Dario Argento per Suspiria (non a caso l'ultimo film girato col Technicolor).

Una curiosità: Bava firma la regia come John M. Old e con lui quasi tutta la troupe appare nei credits con nomi stranieri, come da usanza dell'epoca per sopperire all'indomita esigenza esterofila. Esigenza paradossale per un prodotto, che come tutti gli altri suoi film, ha affascinato più il mercato estero che quello italiano, con le sue molteplici proiezioni ai drive-in americani e negli spettacoli economici. Le tematiche sadomasochiste comunque crearono notevoli problemi di censura.