Artigianato: Incontri ravvicinati del terzo tipo

Se i temi del film sono di per se stessi molto innovativi, altrettanto va detto per gli effetti speciali.

Se i temi del film sono di per se stessi molto innovativi, altrettanto va detto per gli effetti speciali. Ho sottolineato precedentemente come Incontri ravvicinati del terzo tipo sia un film assai differente dal capolavoro di Stanley Kubrick 2001: Odissea nello spazio. E' vero, eppure un punto d'unione esiste e non è affatto insignificante. Questo trait d'union risponde al nome di Douglas Trumbull, ovvero colui che si occupò degli effetti speciali del film di Kubrick sopra citato. Spielberg aveva cercato di circondarsi di tutti i membri della cui collaborazione si era già avvalso Kubrick, ma senza riuscirci. In una intervista, Spielberg dice che era talmente rimasto colpito dal lavoro fatto sul film di Kubrick, che aveva segnato su di un foglio tutti i nomi dei collaboratori agli effetti speciali che comparivano nei titoli di coda del film. Di loro riuscì a trovare solo Trumbull, l'unico che risiedesse negli Stati Uniti.
Gli effetti speciali del film sono molto meno complessi di quanto si creda. Sì, c'è voluto un lavoro mastodontico per riuscire a creare immagini che non fossero palesemente posticce, false, eppure mi piace pensare agli effetti di questo film come ad un lavoro di grandi artigiani. Un po' come era avvenuto per 2001: a space odissey, le navicelle spaziali di Incontri ravvicinati del terzo tipo sono tutte dei semplici modellini, costruiti artigianalmente ed addizionati di effetti digitali che rendessero vivi i colori e fluidi alcuni movimenti. Fa sorridere pensare a come fosse dura, nel 1977, ottenere effetti speciali che non tradissero la realtà del film, pensare a come sarebbe (ed è, logicamente) facile ottenerli oggi. Il fascino di questo film è proprio in questo scarto. Lì gli effetti speciali erano sudati prodotti artigianali, oggi sono spesso frutto del lavoro di non troppe ore sedute ad un computer.
Un esempio lampante della semplicità artigianale del film di Spielberg lo abbiamo nella scena del camioncino. Roy si è perso, alla guida del suo camioncino, mentre stava cercando di raggiungere un luogo in cui si necessita il suo lavoro. Sta consultando una cartina quando una piccola astronave gli si accoda, lo scruta, gli si pone sopra, lo illumina, lo acceca. Quello che accade nell'abitacolo del furgoncino è qualcosa di estremamente strano. Tutti gli oggetti cominciano ad esplodere, a cadere come in assenza di gravità, come se il senso della gravità fosse cambiato. Le cartine gli cadono in faccia, il portacenere si apre e la cenere gli cade addosso, il cavo della ricetrasmittente pende in senso sbagliato. A prima vista tutti siamo in grado di dire che gli effetti speciali hanno fatto ottimamente il loro lavoro, ci scervelliamo nel tentativo di capire come sia possibile ottenere un risultato del genere. Niente di più semplice. Il tecnico degli effetti speciali si è limitato a fissare il camioncino ad una pedana rotante ed a farla ruotare sul proprio asse. Ora, siccome la macchina da presa è fissa nella stessa posizione all'interno dell'abitacolo dell'auto, noi non ci rendiamo conto del movimento della pedana e, con essa, del furgoncino. Noi ne vediamo solo gli effetti, gli oggetti che cadono per la forza di gravità. Semplice accorgimento che ottiene risultati ottimali.
Un'altra trovata degna di nota è l'effetto col quale si sono generate le nuvole in movimento che spesso compaiono nel film e che sembrano vivere di vita propria. Il metodo è stupefacente: in un grosso recipiente viene versata dell'acqua dolce e, sopra di essa, dell'acqua salata che tende, per la diversa composizione chimica e minerale, ad occupare lo strato superiore del recipiente. Nel recipiente così predisposto viene versata della vernice bianca, poco alla volta. A contatto con l'acqua salata la vernice tende proprio a creare quelle forme simili a nuvole che si srotolano in avanti e, siccome l'acqua salata sta nella parte superiore del contenitore, non si rischia che le "nuvole" di vernice vadano a scendere nella parte inferiore, occupata dall'acqua dolce, andando, in pratica, ad occupare lo spazio che in post produzione non sarebbe occupato dal cielo bensì dalla terra e dal paesaggio.

Il film è pieno di soluzioni del genere. Parlare nel particolare degli effetti speciali mi risulta difficile, perché alcuni procedimenti sono realmente complessi. Può essere interessante sapere che Spielberg ha girato il film con una pellicola da 65 mm (molto larga) per poter permettere l'inserimento, in post produzione, degli effetti speciali digitali e, nello stesso tempo, non avere una grossa perdita di qualità delle immagini nel riversamento finale del master.
Un film perfetto in ogni sua fase, dalla stesura della sceneggiatura al grande lavoro di post produzione, un film che raggiunge i suoi risultati migliori, a mio avviso, nella splendida sinfonia visiva delle navi spaziali, il gioco delle luci e dei colori, dei cieli blu velluto solcati da sfere multicolori. Tanta magnificenza visiva poteva essere irrimediabilmente rovinata dalla messa in scena degli extra terrestri. Spielberg si trovava davanti ad un problema dalla soluzione affatto scontata. Se non voleva snaturare la natura fiabesca del suo film, doveva a tutti i costi lavorare molto sulla rappresentazione corporea degli alieni. Dapprincipio egli aveva pensato di utilizzare uno scimpanzé per interpretare gli alieni. Aveva dunque fatto indossare al povero primate una tuta attillata ed una maschera da alieno, l'aveva fatto salire su un paio di pattini per simulare una camminata particolarmente strana. I risultati furono, oltre che comici, anche assai scadenti. Così egli ripiegò sull'idea semplice, anche se non scontata, dei burattini. Ma un altro problema gli si era posto: l'impossibilità di eliminare, coi mezzi dell'epoca, tutti i cavi che muovevano i burattini ed il rischio dello svelamento palese del trucco. L'ultima idea, quella finale, fu anche la più semplice. Utilizzare delle bambine piccole, mascherate a dovere, che dovevano muoversi quasi come se danzassero, in modo antinaturalistico ma non troppo alienato. La soluzione si era rivelata vincente. Nell'accostarsi alla scena finale, Spielberg aveva incontrato un altro problema. La bambina deputata all'interpretazione dell' alieno capo doveva mimare il saluto che lo scienziato Lacombe le mostrava, ma le lunghe dita di gomma del vestito non facevano che rendere ridicola e poco credibile la scena. Così il regista si rivolse al grande Carlo Rambaldi (ideatore, nel 1982, del modellino di E.T.) per farsi costruire un extra terrestre che fosse sì robotizzato, ma altrettanto credibile e che avesse la possibilità di avere molte espressioni facciali. Il risultato fu semplicemente perfetto. L'alieno che alla fine saluta Francois Truffaut è un essere dal viso dolcissimo, sereno, buono. E' l'ultima immagine che l'uomo avrà degli extra terrestri, è l'icona della loro predisposizione al dialogo civile, alla comunicazione e forse, un giorno, alla convivenza.