Recensione Le avventure di Sammy (2010)

Un film che, nonostante il budget limitato, riesce a sfruttare al meglio le potenzialità della tecnologia a tre dimensioni, arrivando a comunicare un senso di letterale immersione che lascia piacevolmente meravigliati.

Animazione in profondità

L'animazione digitale ha ormai sposato, in tutto e per tutto, la causa del 3D. Era inevitabile, se ci si pensa: l'introduzione, ormai quindici anni orsono, di una profondità allora solo rappresentata sullo schermo che andava a sostituire l'universo bidimensionale dei disegni a mano, non poteva che avere la sua logica evoluzione in una terza dimensione che fosse finalmente anche percepibile dallo spettatore. Se i giganti come Pixar e Dreamworks si sono subito adeguati, con risultati che iniziano ad essere artisticamente notevoli (specie per gli autori di Up e Toy Story 3 - La grande fuga) è interessante rilevare il percorso di outsider come la belga nWave Pictures, che in qualche modo può essere eletta a pioniera della nuova tendenza. In effetti, la compagnia del regista Ben Stassen ha legato le sue sorti alla terza dimensione da molto tempo prima che questa tecnologia diventasse una moda, con corti animati pensati per schermi IMAX che da subito avevano mostrato le potenzialità del matrimonio tra animazione e senso di profondità.


L'esperienza e la finezza tecnica del lavoro della factory belga sono evidenti in questo Le avventure di Sammy, secondo lungometraggio di animazione diretto da Stassen (il precedente Fly Me to the Moon è del 2008) e vero e proprio saggio di come il 3D possa diventare un reale mezzo espressivo per il cinema di animazione. Stupisce davvero (e positivamente) come una pellicola con un budget limitato, almeno rispetto ai più blasonati concorrenti, riesca a sfruttare al meglio le potenzialità della tecnologia a tre dimensioni, arrivando a comunicare un senso di letterale immersione che lascia piacevolmente meravigliati. Il film, coerentemente con il suo essere rivolto principalmente a un pubblico di giovanissimi, non lesina in oggetti scagliati contro lo spettatore e in tutto il più vecchio armamentario del cinema stereoscopico, ma i suoi meriti sono altrove: la resa delle profondità dell'oceano e di alcuni paesaggi naturali è davvero sorprendente, le scelte cromatiche risultano azzeccate e d'impatto, e l'esperienza visiva che ne deriva è complessivamente notevole.

E' un peccato, però, che da un punto di vista strettamente narrativo il film non faccia molto per elevarsi dal rango di semplice pellicola rivolta ai più piccoli, con un intreccio esile e una linea "pedagogica" paradossalmente solo accennata. Il romanzo di formazione della tartaruga Sammy, da esile cucciolo venuto al mondo su una spiaggia a saggio narratore della vicenda, si snoda in 50 anni di storia, ma pochi se ne accorgono: il tutto si risolve nella caparbia ricerca da parte del protagonista dell'amata tartaruga Shelly, apparsa come una visione alla sua nascita e poi subito perduta, mentre poca attenzione viene dedicata all'interazione con il mondo degli umani e con i suoi cambiamenti nel corso degli anni. E' un difetto abbastanza grave, questo, anche restando nell'ambito di un'opera destinata al pubblico più giovane: il messaggio ecologico che la pellicola vorrebbe trasmettere (risolto solo in un paio di sequenze, e in modo piuttosto superficiale) e il suo carattere pedagogico ne risultano certo inficiati. Il modello del film di Stassen è chiaramente costituito da pellicole della Pixar come Alla ricerca di Nemo, in cui all'intrattenimento per famiglie venivano affiancati elementi di riflessione efficacemente integrati nella narrazione: qui, però, non c'è la stessa cura nella sceneggiatura, e l'aspetto puramente ludico della storia finisce per prevalere.
Nonostante questo, l'attenzione maniacale rivolta alla ricostruzione dei fondali marini, la bellezza e la meraviglia da essi restituita, l'evidente lavoro di documentazione scientifica che c'è a monte, finiscono per rendere il film quasi un documentario animato, controbilanciandone in parte i limiti narrativi. L'efficacia del 3D, l'impatto visivo del film e la simpatia dei suoi personaggi sono senz'altro atti a coinvolgere i più piccoli, certo in misura maggiore di un qualsiasi documentario televisivo: ci si chiede però cosa sarebbe stato di un progetto del genere, con lo stesso livello tecnico qui messo in campo, in mano a sceneggiatori in grado di coglierne a pieno le potenzialità narrative. Allo stato attuale, abbiamo un risultato tecnico che, comunque sia, ci fa guardare con fiducia al futuro di questo genere di produzioni, e anche ai prossimi lavori della factory belga.

Movieplayer.it

3.0/5