Il mercante di pietre: Martinelli e Keitel in conferenza a Roma

Il regista del controverso thriller sul terrorismo internazionale in conferenza stampa a Roma con l'attore Harvey Keitel.

Per capire il presente bisogna studiare il passato. Renzo Martinelli prende in prestito le parole di un grande storico come Marc Bloch per introdurre alla stampa il suo Il mercante di pietre, collegando il tema del suo film all'evoluzione nei secoli dei rapporti tra l'Occidente e il mondo musulmano. E a voler dar conto del clima animato della conferenza stampa, sarà un film che farà discutere, probabilmente ben oltre il lecito e il meritorio.

In un momento cruciale del suo film viene esplicitato quanto anche noi siamo responsabili dei delicati rapporti con il mondo arabo. Cosa voleva intendere?

Renzo Martinelli: Fornire una visione chiara delle responsabilità dell'Occidente. Se si studia la storia dell'Islam e la sua grande sinusoide da Bisanzio ai fatti odierni è possibile tracciare una serie di date che mettono in luce l'evoluzione del rapporto tra il mondo musulmano e l'Occidente. Questo ci porta a riconoscere le nostre responsabilità ma anche a comprendere che non siamo noi la causa originaria e che sono sempre esistite dinamiche interne che rompevano il mondo musulmano dall'interno. Questo perché l'idea che il mondo musulmano sia una grande e coesa comunità è un falso storico su cui fa leva Bin Laden. La nostra responsabilità è quella di rivendicare l'identità e i valori cristiani su cui si fonda l'Europa: la sacralità della vita in primis. Solo così potremmo salvarci. Bisogna rendersi conto del riproporsi di dinamiche già accadute in passato per potere intervenire, perché la storia presenta sempre il conto.

Non crede però che dal suo film venga fuori una rappresentazione univoca dell'Islam? L'idea che siano tutti terroristi, in altre parole?

Renzo Martinelli: Io ho lavorato per anni alla sceneggiatura ed ho evitato questo rischio prendendo con me due consulenti musulmani che hanno letto, setacciato e modificato qualsiasi elemento che considerassero storicamente non veritiero o semplicemente troppo offensivo e risistemato il mio lavoro. Ciò ha comportato un super lavoro e grandi litigate, ma è la riprova della grande coscienza con cui mi sono occupato del fenomeno. Figuratevi che nelle prime cinque stesure avevo eliminato l'attentato con la bomba sporca (esplosivo contaminato con materiale radioattivo, ndr) perché lo ritenevo troppo estremo. Poi ho letto sul Corriere che in realtà la cosa era realmente in programma per un attentato. Dobbiamo ringraziare i servizi di Intelligence mondiale se l'abbiamo scampata.

Eppure la sua ricca e esaustiva analisi sembra non essere presente nel film che pare semplicemente un film contro il fondamentalismo.

Renzo Martinelli: La storia è una cosa, il cinema un'altra. Il cinema per me ha un valore maieutico. Ti costringe a riflettere. Questo è il suo potere. Ma i film hanno delle regole drammaturgiche che ti impediscono di andare troppo in profondità, a meno che non si giri un documentario. L'importante è lanciare un segnale; generare un dibattito. E questo film deve farci riflettere sulla responsabilità di far rispettare i nostri valori di non credere nell'immortalità della nostra civiltà, perché la storia ci presenterà il conto se continuiamo su questa strada. Il mercante di pietre è qui e non solo in medio oriente e non possiamo farci trovare così deboli.

Lei teme delle reazioni per questo film?

Renzo Martinelli: Non me ne preoccupo. Ho sempre subito violente reazioni per i miei film, ci sono abituato e la mia coscienza è tranquilla perché ho semplicemente cercato di capire le origini di questo malessere, raccontare cose che nessuno vuole dire. Non credo di aver detto nulla di offensivo; poi se qualche fondamentalista vuole entrare nella mia vita io sono fatalista. Ma di certo giro armato.

Mr. Keitel, cosa rappresenta per lei il suo personaggio, e cosa l'ha convinta a accettare questo ruolo?

Harvey Keitel: Innanzitutto è stato un onore per me essere parte del film. Martinelli ha lavorato in modo molto puntuale e coraggioso nell'affrontare una questione di tale portata e la cosa mi rende molto ammirato. Il mio personaggio, Ludovico, ha un grande valore simbolico perchè ci dice che tutti noi siamo coinvolti e responsabili per ciò che accade oggi. Ludovico rappresenta quindi una parte di noi che viene messa in una trincea, che diventa dura e non lascia spazio alla tolleranza, senza rispetto per cosa credono gli altri. Questo purtroppo può sempre accadere, in qualsiasi momento della nostra vita e il film sta qui per ricordarci quanto sia necessario portare avanti un dialogo e comprendere. In questo senso, l'obiettivo è stato raggiunto qui, oggi stesso, nel momento in cui ne discutiamo.