Si è già detto e scritto molto, sulla tormentata nomina a direttore artistico del Festival del Film di Roma di Marco Muller, sulle scelte di programma di questa settima edizione, su ciò che è cambiato, su ciò che forse non è potuto cambiare del tutto e su ciò che è ancora in divenire. Polemiche spesso interessate, il più delle volte poco attinenti con la proposta artistica della kermesse, e ancor meno col cinema in generale. A manifestazione iniziata, è giusto che si torni a parlare di cinema; il senso di questo incontro di apertura della manifestazione, come sottolineato dal presidente della Fondazione Cinema per Roma Paolo Ferrari, è proprio questo. "Finalmente tacciono le chiacchiere, e lasciamo spazio alla forza dei film", ha detto Ferrari. Una posizione ovviamente ribadita da un Muller più rilassato che in passato, meno condizionato dalla pressione di questa apertura di festival, che ha tenuto a rimarcare il carattere di creazione collettiva di questa settima edizione della manifestazione romana. "Ci può essere anche chi pensa che il film sia l'opera di un uomo solo", ha detto il direttore artistico "ma non è così. Lo stesso vale per i festival, e, specie quando tutto viene fatto a passo di corsa, ci vuole la determinazione di un gruppo molto ampio: soprattutto quella dell'equipe permanente del festival, che in questi anni ha maturato esperienza e si è adattata all'evoluzione dell'idea della manifestazione".
Sulla vecchia distinzione tra "festa" (denominazione iniziale della manifestazione) e festival, Muller è stato chiaro, e ha tenuto a respingere l'idea di aver messo insieme un programma poco "popolare". "Già Rondi aveva cambiato la definizione. E già lui aveva fratto il festival in due metà, una più autoriale e l'altra più popolare. Noi abbiamo pensato che sarebbe stato interessante rendere la manifestazione ancora più contraddittoria, darle più sfaccettature. Dov'è che avremmo perso il carattere di festa popolare? Ci sono film hollywoodiani e molte pellicole di genere. Ci sono tante anime diverse nel festival, che dialogano invece di guardarsi in cagnesco. Il nostro sentimento è quello di rappresentare il cinema tutto, nella sua interezza. Per la prima volta, poi, quest'anno c'è una tendostruttura gigantesca, in grado di ospitare almeno 1400 spettatori: se quello da noi proposto non fosse cinema popolare, non avremmo mai pensato di riuscire a riempirla" A intervenire è stata poi la giuria della nuova sezione Prospettive Italia, per bocca del suo presidente Francesco Bruni. "Siamo di fronte a una situazione strana e un po' preoccupante", ha detto Bruni. "Noi selezioniamo opere prime e seconde, e dobbiamo notare che, a fronte di molti ottimi esordi, c'è il fatto che è molto difficile esordire al cinema con prodotti di qualità. Sorprende che ci siano ancora produttori coraggiosi che puntano su opere prime o seconde di qualità. Non so quanto ciò potrà andare avanti, dati gli incassi non esaltanti di molti questi film". L'iraniano Babak Karimi ha poi fatto un parallelo tra la cinematografia del suo paese e quella italiana: "Voi siete sempre stati fonte di ispirazione per il cinema iraniano, a partire dal neorealismo fino ai film di Matteo Garrone e Paolo Sorrentino. Questo rapporto parte da lontano, anche perché c'è un parallelismo tra la nostra vita sociale e la vostra. C'è un filo che non si è mai spezzato nel tempo. Alcuni film escono nelle sale, ma molti li vediamo grazie a un fiorente mercato di DVD pirata". Sul controverso tema della pirateria, è intervenuta anche la giurata cinese Zhao Tao: "Fino a qualche anno fa, grazie ai DVD piratati, potevamo vedere tanti film provenienti da altre parti del mondo. Ora questo mercato è decaduto, ma grazie a internet il pubblico continua a vedere questi film; purtroppo, tra questi, pochissimi sono film europei. Attualmente, solo grazie ai festival europei posso vedere i film provenienti dal continente. Per questo apprezzo molto manifestazioni come questa".L'ingresso della giuria del concorso è stato salutato da Muller con la sua singolare "regola" per misurare il gradimento di un film: "La chiamiamo la regola del cavallo dei pantaloni", ha spiegato il direttore artistico. "Alla fine del film, guardiamo se i pantaloni dello spettatore hanno mantenuto la loro piega: se sono ancora a posto, il film è stato apprezzato, ma se sono tutti stropicciati significa che lo spettatore si è agitato sulla sedia, e allora qualcosa non va..."
Il presidente di giuria Jeff Nichols ha apprezzato l'idea, tenendo però a sottolineare che "purtroppo i miei pantaloni sono già stropicciati in partenza! Ma è una regola fantastica. Per me è la prima volta in una giuria internazionale, e men che meno ne avevo mai presieduta una. Dovevo solo farmi guidare dalle mie sensazioni, ha detto Marco, e così ho fatto. Quando faccio i miei film, cerco di avere almeno una scena che colpisca il pubblico, in un modo o nell'altro: ed è quello che voglio anche qui. Voglio essere colpito in qualcosa, da ognuno di questi film". Qualcuno chiede ai giurati quali siano i criteri che li guideranno nella valutazione delle pellicole in concorso."Siamo individui diversi, che ragionano ognuno a modo loro", ha detto Nichols. "Per quanto riguarda me, posso dire che non sono condizionato da criteri politici, e che voglio essere colpito da questi film. Attualmente, sono come un libro aperto." Valentina Cervi ha aggiunto: "E' difficile guardare i film in modo personale, si può anche essere condizionati dagli altri giurati, perché a un certo punto si crea una sorta di alchimia. E' importante che ci sia un punto di incontro tra semplicità ed emozione."
Il critico statunitense Chris Fujiwara ha dichiarato invece che tende a mettere da parte il gusto personale, nella valutazione. "Io cerco di vedere quale sia l'espressione del film, senza farmi condizionare dal mio gusto: aspetto che sia il film a comunicare il sentimento che lo ispira. Mi piace il cinema che nasce dalla visione di un regista." Per l'attrice iraniana Leila Hatami, tuttavia, il gusto influenza inevitabilmente le scelte, anche quando non lo si vorrebbe: "Vorrei non mischiare i gusti personali con le valutazioni di merito, ma non sempre ci riesco. Comunque, principalmente, in un film cerco qualcosa di autentico e originale". Anche lo scrittore e regista argentino Edgardo Cozarinsky pone l'accento sull'originalità. "Io cerco di essere quel libro bianco di cui parlava Jeff. Cerco quel film che mi dica qualcosa e che non paia il rifacimento di un altro film. Se ha ancora una risonanza, in me, dopo 2-3 ore, ciò significa che quel film merita." Tuttavia, per il noto regista russo Timur Bekmambetov "i registi in realtà non possono giudicare altri registi. Noi possiamo essere giudicati solo dal pubblico. Ed è proprio questo che mi piace: io, per 8 giorni, sarò pubblico e basta, potrò giudicare i film come uno spettatore qualsiasi". Il regista australiano P.J. Hogan ha concluso con una posizione in apparente contraddizione col suo ruolo: "A me non piacciono i premi. La maledizione è pensare un film solo nella speranza di vedersi aggiudicare un premio. Sarà difficile, ora, decidere quale film meriterà un premio; la mia sarà una partecipazione innanzitutto emotiva. Spero di vedere film che non siano parte del mio mondo, perché mi piace entrare nei mondi altrui."