Verhoeven e il suo libro nero a Venezia

Il regista presenta al Lido il suo film dedicato ad una pagina poco nota della storia del suo paese.

Black Book, che segna il ritorno in Olanda dopo le non troppo felici esperienze hollywoodiane per Paul Verhoeven, e presentato in competizione a Venezia 63., mostra una pagina di storia relativa alla resistenza al nazismo molto poco conosciuta dagli stessi olandesi. Verhoeven presenta il film al Lido in compagnia dei suoi protagonisti, Carice van Houten, Thom Hoffman, Sebastian Koch, Christian Berkel e [PEOPLE]Halina Reijn
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Perché questo film, tanto lontano dal resto del suo lavoro, proprio in questo momento? Glielo chiedo perché c'è un tema portante nel film, quello per cui il vincitore si arroga il diritto di perpetrare violenze sullo sconfitto, che fa pensare all'attualità...

Paul Verhoeven: Il fatto di aver lavorato per tanti anni negli Stati Uniti mi ha permesso di focalizzare alcune questioni che sono presenti in questo film. La storia narrata nel film l'avevo in mente sin dagli anni '70, quindi c'è stato solo un rinnovamento dell'interesse per me e il mio sceneggiatore negli ultimi due anni. Non è stato vedere le foto scattate ad Abu Grahib a convincermi a fare questo film. Gli esseri umani, che siano americani o olandesi, e probabilmente anche italiani, sono sempre gli stessi. In situazioni difficili come quelle descritte nel film prevale una crudeltà di cui siamo capaci tutti. Quindi, sì, c'è la connessione che vede, ma è in me, sono io che guardo al passato con gli occhi di oggi.

Verhoeven, questo film potrebbe essre considerato un ritorno alle sue radici olandesi. Ma come mai è accaduto? Si è sentito ostracizzato da Hollywood o voleva fare qualcosa di diverso?

Paul Verhoeven: E' vero che dopo l'ultimo film che ho fatto a Los Angeles mi sentii vuoto come il film, Hollow Man (L'uomo senza ombra in Italia). Cercavo qualcosa che mi appassionasse, che sentissi più vicino. Mi sembrava che tutte le sceneggiature su cui potevo mettere le mani negli Stati Uniti fossero simili a Hollow Man e io volevo starne alla larga. Quindi ho deciso di allontanarmi - non perché non ami il mondo del cinema americano, anzi, ma perché in quel momento non riuscivo a trovare qualcosa che mi interessasse veramente e non solo dal punto di vista economico. Ho fatto questo film per una esigenza dialettica interna a me stesso. Come sono post-moderno...

Non teme che il film venga considerato revisionista?

Paul Verhoeven: Domanda interessante, non ci avevo pensato. La storia olandese, come quella di molti altri paesi, è stata tramandata ponendo l'accento sugli aspetti più positivi. Questo film scava in una parentesi un po' più oscura. Quindi revisionista sì, ma non con l'accezione politicamente negativa che di solito si accompagna a questo termine. Ma non ho inventato niente, sono fatti che sono venuti alla luce negli ultimi anni e le mie tesi sono ben supportate dalla ricerca.

Sebastian Koch, lei interpreta un ufficiale nazista, che può dirci di questa esperienza?

Sebastian Koch: Penso a come sono generalmente dipinti gli ufficiali nazisti al cinema: glaciali, marziali e senza cuore. Ma dopotutto erano esseri umani anche loro. Sono stato felice che mi fosse offerto di interpretare un uomo che riesce a relazionarsi umanamente con tutto questo, e che finisce per innamorarsi di una ragazza ebrea. Sembra incredibile, ma vedendo il film, poco fa, io ci ho creduto.

Il finale del film non lascia molta speranza. Verhoeven, lei crede che le guerre saranno sempre il male necessario per l'umanità?

Paul Verhoeven: Non vedo molta speranza in serbo per l'umanità. Nel ventesimo secolo sono morti in guerra oltre cinquanta milioni di persone. Viviamo un'epoca pericolosa, e gli uomini non hanno smesso di comportarsi come animali nei confronti dei loro simili.