Nella notte del 25 agosto del 1944, poco prima dell'alba, il destino di Parigi sembrava segnato. Il generale tedesco Dietrich von Choltitz, governatore militare di Parigi, infatti si sta preparando a far eseguire gli ordini di Adolph Hitler, ossia far saltare in aria l'intera città prima dell'entrata degli alleati. I ponti e i monumenti sono stati minati ma, come riportano le pagine della cronaca storica, questo avvenimento non accadrà mai. Per quali motivo un comandante fedele come von Choltitz si rifiutò di obbedire agli ordini del suo Führer?
Su questa particolare pagina della Storia contemporanea indaga il film Diplomacy - Una notte per salvare Parigi, presentato al Festival di Torino e diretto da Volker Schlöndorff, incoronato con la Palma d'oro a Cannes nel 1979 con Il tamburo di latta. Il suo ultimo lavoro, ispirato all'opera teatrale Diplomatie di Cyril Gely, dimostra come l'ex assistente di Alain Resnais ed uno degli esponenti più importanti della cinematografia tedesca sia tutt'altro che stanco e mantenga ancora intatta la sua brillantezza d'autore.
Racconti di guerra
Nato in Germania e trasferitosi a Parigi negli anni cinquanta, per Volker Schlöndorff la tematica di guerra e, in modo particolare, quella legata al secondo conflitto mondiale, non sono certo una novità. Nei suoi cinquant'anni dietro la macchina da presa, infatti, la storia della Germania ha trovato grande spazio passando dal penultimo Der Neunte Tag, incentrato sul valore della resistenza alla dominazione nazista, alla storia più recente con Il silenzio dopo lo sparo, in cui esamina i movimenti terroristici all'interno della Repubblica Federale Tedesca. Questa volta, però, pur di tornare ai suoi argomenti del cuore ha rotto una promessa fatta a sua figlia di ventidue anni. "Mia figlia è molto giovane e non riesce a capire perché torno sempre su certi argomenti. Ma io sono nato nel '39 ed i miei ricordi sono di guerra. Il secondo motivo, invece, é che in quei momenti di crisi viene fuori il meglio e il peggio di qualsiasi essere umano. Poi mi è capitata tra le mani quella pièce teatrale e, con grande sorpresa, mi sono commosso. Non so per quale motivo. Sia accaduto, forse perché l'immagine di Parigi come io l'ho conosciuta nel '55 non esiste più o forse a causa del personaggio del diplomatico. E poi ho visto nella possibilità di portare questa pie e sul grande schermo una sfida. Come fare per crepare tensione ed emozionare quando tutti i dadi sono sul tappeto ed il gioco è scoperto? Il bello dell'immaginario è che l'emozione non nasce dall'informazione ma dai caratteri e dall'atmosfera."
Lavorare con gli attori
Da Fassbinder, che diresse in Baal ad Arestrup, Schlöndorff può essere considerato uno dei registi più capaci nella direzione degli attori con i quali, quasi sempre, stringe un rapporto personale. "Durante questi cinquant'anni di cinema il mio atteggiamento nei loro confronti è cambiato. All'inizio ero intimidito da loro, soprattutto da quelli di teatro. Mi bloccava il loro modo di recitare in modo non naturale. Comunque, io credo che un regista non debba spiegare le motivazioni all'attore, visto che queste non si possono rappresentare. Piuttosto bisogna metterlo in uno stato di grazia. L'attore deve avere fiducia e sentirsi a suo agio. Solo in questo modo fa cadere tutte le barriere mettendosi a nudo di fronte al suo regista. Questo perché la macchina da presa deve arrivare a guardare dentro il personaggio e non solo esternamente. Il mio segreto è stringere con loro un rapporto personale. Parlo del tempo, delle loro famiglie e, soprattutto mi fermo con loro in camerino prima delle riprese mentrestanno preparando il set. In questo modo, quando si arriva al momento delle riprese, non sentono la rottura ma una sorta di continuità con quello che stavano facendo prima. In questo modo il loro tono di voce è naturale e non acquista il colore della recitazione. In questo modo io porto avanti la mia lotta alla teatralità.