Il registi si dividono in due categorie: quelli schivi, introversi, restii a parlare del proprio lavoro, e quelli aperti, disponibili, desiderosi di sviscerare ogni più piccolo dettaglio della loro arte. Radu Mihaileanu appartiene decisamente a quest'ultima categoria, e la sua connaturata espansività deriva forse da un vissuto profondamente interculturale. Nato in Romania da una famiglia ebraica, sfugge alla dittatura di Ceauşescu ripiegando in Francia, dove si diploma in cinematografia. La sua storia personale si intreccia anche con l'Italia (come dimostra la sua notevole conoscenza della nostra lingua), dal momento che Radu ha lavorato per alcuni anni come assistente alla regia del geniale Marco Ferreri, da cui ha tratto ispirazione per il tocco grottesco e tragicomico delle sue future opere. Rivelatosi internazionalmente nel 1998 con l'acclamato Train de vie - Un treno per vivere, Mihaileanu in seguito ha sempre prediletto soggetti incentrati su etnie o gruppi culturali minoritari o sottomessi, come gli ebrei etiopi "Falascia", protagonisti di Vai e Vivrai del 2005, oppure i musicisti russo-ebraici dell'apprezzato Il concerto del 2009. Anche La sorgente dell'amore, suo ultimo lavoro presentato in concorso al Festival di Cannes del 2011, non sfugge a questa tendenza meticcia e interculturale. Questa volta lo sguardo del regista cade su una piccola comunità araba, nella quale le donne sono costrette per un'assurda tradizione patriarcale a trasportare pesanti secchi d'acqua da una lontana montagna fino al loro villaggio, mettendo così a repentaglio la propria vita e quella dei loro futuri bambini. Una donna forestiera, Sami (l'eccezionale Leïla Bekhti), riesce a convincere le altre mogli a dare vita a uno "sciopero dell'amore" (che ricorda molto da vicino quello di Lisistrata di Aristofane, anche se ispirato a fatti realmente accaduti in Turchia nel 2001) per mettere fine a questa forma di prevaricazione maschilista.
In occasione dell'imminente uscita del film, Radu Mihaileanu ha ricevuto i giornalisti in un'elegante sala di Palazzo Torlonia, dove come suo solito ha fatto sfoggio di una vasta cultura e si è prodigato nell'illustrare gli svariati aspetti di quest'opera stratificata: dalla tematica femminista alla riflessione contro il fondamentalismo religioso, dalla dimensione favolistica del racconto all'importanza della componente musicale.
Da un punto di vista femminista mi lascia qualche perplessità la frase conclusiva del film, che recita più o meno così: "La sorgente delle donne è l'amore, la sorgente di ogni donna è il suo uomo". Dato che le donne del film non sono in realtà ostili nei confronti dei loro compagni, ma si battono contro il sistema sociale maschilista e fondamentalista, l'ho trovata fuori luogo.
In effetti la frase finale del film serve proprio a sottolineare quanto lei ha detto, cioè che la comunità femminile non si ribella contro i propri mariti, che continua ad amare, ma contro il sistema tradizionale e patriarcale, con l'obiettivo di ottenere la parità dei diritti. Lo scopo ultimo è quello di fondare una nuova armonia tra uomo e donna, come una sorta di yin e yang, fondata sulla parità e sull'uguaglianza pur nelle differenze dei caratteri maschili e femminili. Non a caso nel film si dice che le donne potrebbero essere in grado di insegnare la pace agli uomini, se questi volessero.
In effetti la musica è da sempre un elemento fondamentale nei miei lavori per una svariata serie di motivi. Innanzitutto personalmente amo moltissimo la musica e trovo che sia la forma d'espressione artistica più pura e più importante, perché universalmente radicata nell'animo umano a livello conscio e inconscio. Per questo motivo penso che sia anche la forma estetica in grado di esprimere al meglio e in maniera più veritiera la tradizione di un popolo, e dunque all'interno del film è stata fondamentale per rappresentare la cultura e il folklore della comunità araba e berbera. Le donne de La sorgente dell'amore utilizzano il canto popolare in vari modi: come forma di conforto per liberarsi dalle sofferenze quotidiane, esprimendo la loro gioia di vivere, e come espressione del proprio punto di vista sulla società, un po' come fanno i rapper americani. Al tempo stesso il canto è un modo per affermare la propria posizione in maniera indiretta, senza porsi in netto contrasto con la parte antagonista: è un espediente tipico del pensiero e della cultura mediorientale da cui la civiltà occidente avrebbe molto da imparare.
Un altro tratto distintivo della sua poetica è l'impiego di uno stile "tragicomico", che mescola al tempo stesso tragedia e farsa, dramma e umorismo. Come riesce a dosare e bilanciare armonicamente questi ingredienti?
Tuttavia ho notato che La sorgente dell'amore, rispetto ad alcune sue opere precedenti, presenta un tono meno grottesco e invece si caratterizza per uno stile di regia più realistico e quasi documentario, nonostante la storia venga presentata sin dalla didascalia introduttiva come una fiaba.
Volevo far convivere all'interno del film entrambi questi elementi; da una parte quello più fantastico e favolistico, che ha anche l'obiettivo di suscitare nello spettatore il piacere della narrazione e di conferire un respiro epico alla storia. Dall'altra quello più realistico, perché il soggetto è ispirato a un fatto realmente accaduto in Turchia nel 2001 e volevo cogliere l'occasione per descrivere in maniera fedele alla realtà alcuni aspetti della cultura araba e per affrontare alcuni temi come il fondamentalismo religioso, senza deformarli con stereotipi che molto spesso purtroppo affliggono le rappresentazioni occidentali dell'islamismo. Mi sono dunque trovato a muovermi in una frontiera molto sottile tra il documentario e il racconto di fantasia, un po' come avevo già fatto con Vai e Vivrai.
Il riferimento a Le mille e una notte è stato essenziale per diverse ragioni metaforiche. In primo luogo perché è un testo fondativo del mondo arabo, e acquisisce un significato particolare in virtù del fatto che è un'opera collettiva, anonima, popolare, e dunque appartenente a tutta la comunità. Inoltre questi racconti dimostrano come la sensualità sia in realtà una componente essenziale della cultura araba e si rintraccia in numerosi aspetti, come la danza, il canto e il cibo. Un'altra valenza metaforica è data dal fatto che il sultano de Le mille e una notte ha promesso di risparmiare Sharazad fintantoché riuscirà a intrattenerlo con un nuovo racconto. Allo stesso modo tutte le donne sono in grado di evitare la propria morte, e forse quella dell'intera umanità, se hanno il coraggio di prendere coscienza del potere della propria parola e la volontà di affermarla e di esprimerla, non lasciando che siano sempre e solo gli uomini a parlare.
Da dove deriva la scelta di ambientare il soggetto in un villaggio arabo e di interessarsi a questa cultura?
Il contesto arabo mi consentiva di affrontare la storia non limitandomi a trattare del contrasto universale tra uomo e donna, ma permettendomi di approfondire altri temi, come ad esempio la presa di posizione contro tutti i fondamentalismi (non soltanto quello islamico). Il problema dell'acqua e il dramma della siccità (che peraltro sta diventando sempre più pressante oggigiorno), poteva inoltre essere utilizzato come una metafora della mancanza d'amore che sembra ormai connaturata nelle nostra società, dominata da una deriva narcisistica che tende a "inaridire" tutte le relazioni umane.