"Commovente". "Coinvolgente". "Un'opera d'arte". No, non sono le quotes giornalistiche estrapolate per un trailer o per la locandina di un film, così da invogliare il pubblico. Invece, sono alcuni dei tanti commenti sotto il post ufficiale che, orgogliosamente, mostra su Facebook La Pesca. Una storia Esselunga. Attenzione, nei canali ufficiali della catena di supermercati, infatti, non viene mai menzionata la parola pubblicità. È bandita. Si parla di storia, che è tutt'altra cosa, quindi di sentimento. Anche perché non può esserci una buona pubblicità senza una buona storia, senza sentimento. Così come nel cinema. Niente sceneggiatura, niente film. Riflettendo pure su quanto alcuni fenomeni siano svilenti, minando definitivamente la percezione che si ha della società nazionale in cui viviamo.
Eppure, ovunque, dovunque, più di ogni altra cosa, come accade spesso in un paese marcatamente provinciale come l'Italia, non si parla d'altro che delle "pubblicità della pesca". Addirittura, spuntano le recensioni, le analisi tecniche, e i puntuali meme che fanno il giro dei social, facendo accrescere un fenomeno comunicativo studiato appositamente per far parlare di sé. Ottimo lavoro: l'importante è che se ne parli, no? E se si parla di una pubblicità, tanto meglio. Il logo dell'azienda come scuola di pensiero: il Santo Graal di ogni agenzia di marketing. Del resto, quello di Esselunga è un lavoro pubblicitario che ha investito e coinvolto anche le più alte cariche del Paese, pronte a schierarsi per quella pubblicità polivalente e bipolare: si mette al centro la famiglia separata (e quindi ritenuta moderna, come se i separati fossero un tema da titoli di giornale) ma, intanto, il punto di vista è quello di una bambina (disegnata quasi fosse un personaggio Pixar) che vorrebbe di nuovo insieme i genitori.
L'Italia, quel paese dove "tutto fa discutere"
È qui che La Pesca di Esselunga, creata dall'agenzia Small di Luca Lorenzini e Luca Pannese, compie il "miracolo", arrivando orizzontalmente a tutti: la bambina diventa uno strumento all'interno del contesto, e il suo punto di vista subito cavalcato dalle frange tradizionaliste, finendo per essere tristemente strumentalizzato: "vedete, la bambina soffre, i genitori devono stare insieme. La famiglia è una sola!", si grida. Un contesto progressista ma allo stesso tempo tradizionale, con un velo di sconcerto se ragioniamo che, nel 2023, ci ritroviamo a parlare di progressismo quando pensiamo a due genitori separati (senza sapere i motivi della separazione, poi). Ed è poi aberrante considerare la bambina come unicum, come portavoce di un pensiero populista e sacrale, che vedrebbe intoccabile il nucleo famigliare.
Il punto è invece un altro: se si parla di corto e non di pubblicità, La Pesca è un prodotto di finzione che arriva da un soggetto scritto, considerandolo perfetto (dai creativi dell'agenzia) per parafrasare il concetto del fare la spesa come unione (si parla di un supermercato, non di astrofisica). Tuttavia, la verità è che la bambina se ne frega delle tradizioni, vorrebbe semplicemente che i genitori tornassero insieme. Il resto è populismo, è politica spicciola, è visione ingigantita di un Paese che non riesce più a trovare le sfumature, chiudendosi in una polarizzazione malsana e sfiancante. Lo stesso approccio bipolare di uno spot in grado di mettere in accordo e in disaccordo tutti, ottenendo il risultato voluto: arrivare alle persone, veicolare il marchio tramite un messaggio. E per favore, non parliamo di morale. La morale non deve averla l'arte, figuriamoci una pubblicità.
"La pubblicità si basa su un'unica cosa: la felicità". Parola di Don Draper
Ancora, potremmo ragionare su quanto l'Italia sia un paese reazionario, che tende a polarizzarsi sui fatti effimeri, facendo diventare uno spot una questione di Stato, ingurgitando qualsiasi cosa in una costante campagna elettorale. Ora, per chiudere il discorso e farla breve, si potrebbe citare Mad Men che, oltre essere la migliore serie tv di tutti i tempi (almeno per chi scrive, si intende), esamina il pensiero antropologico e sociale dietro il concetto di comunicazione, dando voce al protagonista Don Draper, geniale creativo, che sosteneva: "Non si può lanciare qualunque prodotto come se fosse una lozione, per questo bisogna creare un legame più profondo col prodotto: la nostalgia". E ancora più coerente con il discorso della Pesca, la frase riassuntiva che pronuncia Don nel primo episodio: "La pubblicità si basa su un'unica cosa: la felicità. E sapete cos'è la felicità? La felicità è una macchina nuova, è liberarsi dalla paura, è un cartellone pubblicitario che ti salta all'occhio e che ti grida a gran voce che qualunque cosa tu faccia è ben fatta, e che sei ok".
Esatto, la felicità abbozzata che esprime la piccola protagonista dello spot di Esselunga, dopo aver recapitato la pesca (della discordia) a suo papà, spacciandola per regalo della mamma. Lei, figlia di due genitori divorziati o separati, cerca proprio la speranza, la liberazione dalla paura di cui parlava Don Draper (un personaggio immaginario, ma molto più interessante di tanti personaggi reali). Il resto, è filtrato e politicizzato, finalizzato per l'ennesima questione inutile, cavalcata da quegli opinionisti tutti uguali che si accalcano sulle colonne dei quotidiani. Ognuno con la verità in tasca, ognuno incapace di andare oltre il proprio naso, banalizzando un tema che, invece, non può essere banalizzato - ma può però essere sfruttato per una campagna pubblicitaria finalizzata a creare dibattito. Poi, si può riflettere che, da diversi giorni, su internet, veniamo invasi da banner pubblicitari o post sponsorizzati di catene di supermercati, senza averli mai effettivamente cercati sul web, nonché poco attinenti al nostro profilo di consumatori. Sì, questa è un'altra storia, ma enfatizza il potere della comunicazione contemporanea, con un effetto domino su cui interrogarci.