Si è chiusa sabato 29 aprile, in un Teatro Nuovo come sempre gremito in ogni sua parte, l'ottava edizione del Far East Film Festival, grande rassegna dedicata al cinema orientale con sede a Udine. Un'edizione caratterizzata, anche quest'anno, da un'ottima organizzazione (nonostante le difficoltà derivate dai sempre minori fondi statali destinati ai festival, l'impossibilità di proiettare alcune pellicole già acquisite dai distributori italiani, l'assenza forzata di alcuni ospiti previsti - tra cui lo storico regista/produttore hongkonghese Wong Ting-lam), e da un livello qualitativo che si è attestato su livelli complessivamente buoni, riflettendo bene lo stato generale di salute (e le contraddizioni) delle cinematografie del sudest asiatico. Anche quest'anno la proposta è stata suddivisa tra la sede del Teatro Nuovo e quella del cinema Visionario, con una formula già sperimentata nell'edizione precedente: nella sede minore ha avuto luogo, per gran parte, la rassegna "L'Asia canta" dedicata al musical nelle cinematografie asiatiche, durante la quale il pubblico di Udine ha potuto apprezzare classici come l'hongkonghese The Wild, Wild Rose, il cinese Third Sister Liu e il giapponese The guy who started a storm (diretto dal regista Umeji Inoue, al quale è stato dedicato anche un omaggio separato nel cosiddetto "Inoue Day"). Vediamo comunque di esaminare con ordine la proposta di ogni singolo paese rappresentato al festival.
Una proposta tutta incentrata sulla qualità anziché sulla quantità è stata quella proveniente dalla Cina continentale, con soli quattro film nessuno dei quali è sceso sotto un livello almeno buono: una struttura produttiva in forte espansione che, ancorché condizionata tuttora da una censura piuttosto rigida, si avvia a diventare una nuova importante realtà nel panorama asiatico, grazie a un gruppo di registi e sceneggiatori forti di idee e capacità di esprimerle. Dall'affascinante e problematico Gimme Kudos al notturno quasi-noir Sudden Lover, dal realistico e duro Loach is fish too al rigorosissimo, e splendido, You and me, il cinema cinese non parla più un linguaggio autoreferenziale, ma si è ormai aperto al mercato e alle più svariate influenze (comprese quelle dei paesi vicini), riuscendo anche, laddove possibile, a operare un lavoro prima inimmaginabile sui generi. Sicuramente una cinematografia che avrà ancora molto da dire in futuro.
Parlando di Hong Kong, la situazione è più complessa e contraddittoria: da un lato c'è l'enorme calo produttivo e di introiti fatto registrare nel 2005, dall'altro le conferme di alcuni nomi affermati, quali Johnny To, Tsui Hark e Stephen Chow, ai quali tuttavia non ha fatto seguito un uguale riscontro da parte dei registi più giovani, in gran parte rappresentati a Udine coi loro film. Si va dalla gradevole commedia agrodolce, e fortemente debitrice ai lavori di Chow, di I'll call you di Lam Tze-chung, all'anonimo poliziesco Dragon Squad di Daniel Lee, dall'horror ben confezionato ma già visto di Home sweet Home di Soi Cheang a quello elegante e vuoto di The House di Ng Man-Ching, dal melodramma classico e di forte carica emotiva di 2 Young di Derek Yee al prodotto commerciale Milkyway di turno (stavolta meno curato del solito) di The Shopaholics di Wai Ka-fai. Discorso a parte merita Isabella di Pang Ho-cheung, elegantissima e problematica commedia drammatica che unisce la descrizione di due universi personali che collidono (quelli di un padre e una figlia che si ritrovano) a quella più generale di una Macau che, nel film, è ritratta mentre si prepara a vivere il trauma del ritorno alla Cina continentale. Un autore certamente di gran livello, ma lanciato ormai, come molti suoi colleghi passati per il Far East, verso palcoscenici internazionali: il passaggio di questo film al Festival di Berlino ne è una prova, e abbiamo ragione di sospettare che questo possa essere il suo ultimo film ad essere proiettato a Udine.
La proposta coreana vista al Far East conferma tutti i dubbi che erano emersi nella stagione precedente: se da un lato le commedie sembrano essere ormai prodotte in serie, con logiche che ben poco hanno a che fare con l'intento di offrire prodotti originali e stimolanti, dall'altro si nota un'enfasi e una ricerca dell'emozione facile e d'accatto che, se da un lato va d'accordissimo col mercato, dall'altro finisce per rovinare pellicole che altrimenti avrebbero potuto avere ben altra riuscita. Nel primo gruppo rientrano i poco interessanti (e sostanzialmente già visti) Rules of Dating e See you after school, mentre nel secondo possiamo collocare il corale All for Love e il melodrammatico e poco incisivo You are my Sunshine. Non bastano un thriller troppo cerebrale come Murder, Take one, e un film di genere più realistico del solito come Art of Fighting a fugare le perplessità sul livello qualitativo di una proposta che solo col film vincitore, lo splendido Welcome to Dongmakgol, ha offerto un prodotto realmente, e completamente, convincente.
La selezione giapponese è stata forse, complessivamente, quella più eterogenea e convincente, nonostante la grande delusione rappresentata da quello che era uno dei titoli più attesi: il fantasy Shinobi, diretto da Ten Shimoyama, si è rivelato un giocattolone fine a se stesso, con un uso gratuito di un digitale di cattiva fattura e una debolezza narrativa non compensata da sequenze d'azione noiose e tutte uguali. A parte questo titolo, il resto della proposta del Sol Levante ha fatto registrare diffusi consensi, a partire dall'altro "pezzo da novanta" annunciato: Imprint di Takashi Miike, proiettato nella serata inaugurale alla presenza del regista, ha scosso e convinto la platea friulana, con una violenza a tratti insostenibile, ma sempre giustificata da una disperazione e un nichilismo che trasudano da ogni singola inquadratura. L'ennesima prova della grandezza di un autore a cui finalmente anche la cultura cinematografica "alta" inizia a guardare con interesse (e la prova è la presenza dei suoi film nei maggiori festival internazionali e la recente retrospettiva dedicatagli dal Museo del Cinema di Torino). Altri titoli da segnalare sono il secondo classificato nel premio del pubblico, il poetico Always - Sunset on Third Street di Takashi Yamazaki, il realistico, rigoroso e coinvolgente Linda Linda Linda di Nobuhiro Yamashita, l'onirico thriller a episodi Rampo Noir (diretto da un quartetto di registi composto da Suguru Takeuchi, Akio Jissoji, Hisayasu Sato e Atsushi Kaneko) e la commedia Nana di Kentaro Otani, tratta dal fortunatissimo manga di Ai Yazawa. Da ricordare anche il folle e divertentissimo Ski Jumping Pairs - Road to Torino (diretto da Masaki Kobayashi e Richiro Mashima), appartenente al genere del cosiddetto mockumentary (pseudo-documentario), che racconta la creazione di una nuova disciplina olimpica (il salto con gli sci a coppie) alternando false immagini di repertorio e sequenze in computer grafica; oltre alla divertente commedia horror Tokyo Zombie di Sakichi Sato, affettuosa parodia degli horror romeriani proiettata nella sezione di mezzanotte.
La proposta proveniente dalla Thailandia ha fatto rilevare una certa vitalità nel modo di narrare e di dirigere, unita a una notevole fantasia, alle quali non corrisponde, però, un uguale livello tecnico e di scrittura: ne sono prova i coloratissimi, ma effimeri, Bangkok Loco e Hello Yasothorn, oltre alla commedia M.A.I.D., divertente ma esile e facilmente dimenticabile. Un discorso che può valere, fatti i dovuti distinguo, anche per la selezione filippina, nella quale spicca la divertente parodia horror D'Anothers, diretta dalla regista Joyce Bernal, e il fantasy Exodus: Tales from the Enchanted Kingdom di Eric Matti, destinato principalmente a un pubblico infantile.
Per quanto riguarda il tradizionale appuntamento dell'Horror Day rimandiamo il lettore all'articolo dedicato, aggiungendo solo una piccola considerazione: visto che quello dell'horror asiatico non è più un universo sconosciuto per lo spettatore occidentale, e che gran parte degli film dell'orrore prodotti da quelle parti arrivano ormai nelle nostre sale, non sarebbe forse il caso di ripensare, su basi diverse, questa giornata? La proiezione dell'imperfetto, ma originale, Ghost of Valentine, del thailandese Sippapak Yuthlert, potrebbe forse rappresentare un'indicazione in questo senso.
La serata finale, con l'assegnazione dell'Audience Award, ha sancito le preferenze di un pubblico da sempre molto attento alla qualità della proposta offertagli, premiando quelle pellicole che hanno saputo stabilire con esso un feeling migliore. Il podio (sul quale in ordine si sono piazzati, lo ricordiamo, Welcome to Dongmakgol, Always - Sunset on Third Street e Linda Linda Linda) rispecchia pienamente gli "umori" colti giorno per giorno da chi il festival lo ha vissuto, ribadendo la vocazione unica di questa manifestazione, che è insieme colta e profondamente, irriducibilmente popolare. Un festival di cui, lo diciamo a costo di fare retorica spicciola, c'è ancora (e ci sarà sempre) un gran bisogno, nonostante le difficoltà e forse proprio in ragione di esse. Per questo non possiamo che associarci all'appello degli organizzatori, affinché questa manifestazione possa continuare ad offrire, unica in Europa, quello sguardo a 360 gradi su un mondo cinematografico che, anche grazie ad essa, negli ultimi anni abbiamo imparato a sentire meno lontano.