Grazie, David Lynch: perdersi non è mai stato così meraviglioso

Il nostro ricordo di un artista insostituibile, che da Twin Peaks a Mulholland Drive non solo ha ridefinito il nostro immaginario, ma ci ha trasmesso la passione per lo smarrimento e la vertigine.

Un ritratto di David Lynch

È così emozionante quando ci si innamora delle idee. Non c'è molto altro a cui pensare, se non provare ad addentrarsi il più possibile in quel mondo ed essere fedeli a quelle idee. In un certo senso, ci si perde. E perdersi è meraviglioso.

Quante volte ci siamo persi nei mondi di David Lynch: territori oscuri, minacciosi, onirici. E quante volte, soprattutto, non abbiamo potuto fare a meno di innamorarci di quei mondi: di farci rapire dal loro tenebroso incanto e lasciarci cullare dalla loro dolcezza ineffabile, accompagnati dalle melodie eteree di Angelo Badalamenti e dalla voce angelica di Julee Cruise, di Elizabeth Fraser o di Rebekah Del Rio. È inestimabile la fortuna di chi si sia imbattuto nel cinema e nell'arte di David Lynch, perché lui è stato davvero uno di quei registi in grado di cambiarci la vita: ha saputo rendercela più ricca, più complicata, magari più inquieta, ma di sicuro decisamente più eccitante. E non solo per le immagini e le storie racchiuse nei suoi film, ma perché, attraverso di esse, ha contribuito a modellare il nostro sguardo sulla realtà e, ancor di più, su noi stessi.

David Lynch
Un'immagine di David Lynch

Si è già detto e scritto tantissimo sulla portata rivoluzionaria della sua filmografia, costituita da appena dieci titoli realizzati nell'arco di poco meno di trent'anni, dall'esordio con Eraserhead nel 1977 al conclusivo Inland Empire nel 2006 (ma che universo infinito ci ha regalato in appena dieci film!).

E si è detto e scritto tantissimo sulla radicale trasformazione impressa al linguaggio televisivo a partire dal 1990 con Twin Peaks, imprescindibile punto di svolta nella concezione di cosa può essere una serie TV. Si è detto e scritto tantissimo su David Lynch, per fortuna, e si dirà e scriverà ancora tanto in ricordo del regista e sceneggiatore del Montana in seguito alla sua scomparsa, avvenuta giovedì 16 gennaio, quattro giorni prima di tagliare il traguardo dei settantanove anni.

Luoghi oscuri e zone proibite

Cuore Selvaggio
Cuore selvaggio: Nicolas Cage e Laura Dern

Se il suo ruolo di sperimentatore e di alfiere del surrealismo fa ormai parte a pieno diritto del canone cinematografico, se la sua statura artistica è già stata riconosciuta e celebrata in innumerevoli occasioni tanto in America quanto in Europa e altrove, per chi ha amato e continuerà ad amare i suoi film probabilmente oggi prevalgono due sentimenti opposti, e tuttavia interconnessi: il dolore nell'apprendere che David Lynch non c'è più (ma, parafrasando la mitica battuta su Ernst Lubitsch, "Ancora peggio... niente più film di Lynch!") e la rasserenante consapevolezza di quell'immensa fortuna. La fortuna di aver avuto accesso a luoghi di cui, se non fosse stato per lui, non avremmo neppure sospettato l'esistenza: il sottobosco criminale di Lumberton, con le sue villette dalle staccionate dipinte di bianco; i boschi nebbiosi e gli scenari bucolici di Twin Peaks; la penombra intrisa di mistero del Club Silencio.

Twin Peaks
Twin Peaks: un'immagine della serie

Ciascuno di noi, in queste ore, starà ripensando alla propria epifania; ciascuno avrà occasione di rivivere il suo personalissimo colpo di fulmine, comune a milioni di altre persone e ciò nonostante assolutamente unico, nei modi e nei tempi in cui ci ha folgorato e nelle emozioni che ci ha tirato fuori, con quell'intensità angosciosa e scioccante di cui solo David Lynch è stato capace. Un'intensità che, in molti casi, è stata alimentata da qualcosa di non ben definito, ma che il nostro intuito non ha tardato a cogliere: la sensazione che ci stessimo addentrando in una zona proibita, che avessimo intrapreso un percorso senza ritorno. Perché abbandonarsi al fascino di Lynch è stato anche questo: una "perdita dell'innocenza", un tuffo nell'inconscio alla scoperta di abissi verso cui, prima di allora, non avevamo mai osato rivolgerci.

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Le strade perdute e i misteri dell'amore

Kyle Maclachlan
Velluto blu: un'immagine di Kyle MacLachlan

È successo quando la nostra prospettiva ha aderito a quella di Jeffrey Beaumont, intento a spiare dalle ante dell'armadio i movimenti di Dorothy Vallens, in un connubio di pericolo, erotismo e perversione che non aveva avuto eguali, prima di Velluto blu. È successo quando, in Twin Peaks, abbiamo contemplato la vitalità adolescenziale di Laura Palmer, coscienti che dietro quel sorriso radioso si celava un orrore atroce, consumato prima ancora che il fiume restituisse il corpo della giovane, avvolto nella plastica, ma destinato a restare appiccicato su di noi, così come su ogni abitante di quella cittadina maledetta. È successo quando, in Strade perdute, Fred Madison parla al telefono con l'uomo misterioso in piedi davanti a lui, e quando, in Mulholland Drive, Betty Elms e Rita incappano in una macabra sorpresa mentre tentano di risalire all'identità di quest'ultima.

Muld
Mulholland Drive: un'immagine tratta dalla scena al Club Silencio

È solo una manciata di esempi, in un itinerario cinematografico e televisivo da cui ognuno sceglierà di trarre le proprie scene 'speciali': quelle che, fin dalla prima visione, non hanno più smesso di animare il nostro immaginario; quelle che non ci hanno più fatto guardare una fila di villette a schiera senza chiederci cosa si nascondesse nei loro prati, tra i fili d'erba, mentre dalla memoria riecheggiavano le note di Blue Velvet; quelle che hanno dato corpo e forma ai nostri incubi, inducendoci a temere (per quanto, razionalmente, ci ostiniamo a sostenere il contrario) che in un angolo della nostra casa possa annidarsi la mostruosa sagoma di BOB; e quelle che, viceversa, ci aiutano a restare legati ai nostri sogni, a non dimenticare che "Sometimes a wind blows/ And the mysteries of love come clear".

Isabella Rossellini in Velluto blu: una femme fatale 'scandalosa' nel capolavoro di David Lynch

Uno "strano mondo" fra sogno e incubo

The Elephant Man 10
The Elephant Man: Anne Bancroft e John Hurt

A David Lynch dobbiamo tutto questo, ciascuno di noi in modo diverso. È grazie a lui, al linguaggio che ha (re)inventato fin dall'epoca di Eraserhead e che ci ha indotto ad ascoltare, al di là di quanto e di cosa comprendessimo, se siamo diventati spettatori migliori, o quantomeno più aperti e sensibili; ma pure se, ogni tanto, abbiamo capito qualcosa di più sugli altri, e di riflesso anche su di noi.

Proprio come accade a Frederick Treves e agli altri personaggi il cui cammino incrocia quello del John Merrick di The Elephant Man: un film miracoloso per come riusciva e riesce tutt'ora a parlarci dell'essenza più profonda della nostra umanità, in cui la paura e il disgusto dischiudono un baratro inconfessabile di vergogna, per poi sciogliersi nella commozione più limpida e cristallina ("Lei non è affatto un Uomo Elefante! No... lei è Romeo!").

Velluto blu: il duetto tra Isabella Rossellini e Kyle MacLachlan
Velluto blu: il duetto tra Isabella Rossellini e Kyle MacLachlan

Siamo esseri umani perché in noi convivono l'oscurità e l'amore, la disperazione e il desiderio, il cielo stellato e la voragine. "È uno strano mondo", osserva Sandy Williams all'arrivo dei pettirossi nel finale di Velluto blu: uno strano mondo sospeso in equilibrio fra sogno e incubo, e forse nessuno ci ha immerso in queste dimensioni complementari, talmente vicine da sovrapporsi e da confondersi, con la potenza immaginifica di David Lynch, del suo cinema ipnotico, perturbante e coraggiosissimo.

Un cinema che proseguirà a vivere nei ricordi collettivi e individuali, nelle suggestioni evocate da ogni sequenza, nella sconfinata empatia che è in grado di suscitare... anche - e soprattutto - nei suoi capitoli più cupi. "Niente morirà mai. L'acqua scorre. Il vento soffia. La nuvola fugge. Il cuore batte. Niente muore".