È impossibile etichettare qualcuno come un ultimo in senso assoluto. Anche perché si tratta di un aggettivo che presuppone sempre un riferimento: ultimo rispetto a chi o a cosa? Ultimo a fare che oppure a smettere di fare che? Ultimo non può essere una definizione univoca, in grado di esautorare la conoscenza di una persona, ma può esserne il tratto caratterizzante, che però in certi momenti o per certi aspetti della sua vita può essere stato anche un primo o un unico, pur rimanendo un ultimo.

Alvaro Vitali, scomparso all'età di 75 anni il 26 giugno, è stato un ultimo e con questo status ha dovuto fare i conti per tutta la sua carriera e, ça va sans dire, per tutta la sua vita, anche nei momenti più folgoranti e nel raggiungimento dei traguardi più insperati. Un contrappasso che lo ha accompagnato anche quando è riuscito a creare maschere in grado di ribaltare la sua natura, come Pierino, Cotechiño e Alvaro Tarallo. Probabilmente il suo successo è stato legato in qualche modo a ciò.
Tra tutti i modi in cui stato un ultimo ce n'è però uno, legato alla sua incapacità di arrendersi e che lo ha portato nel corso del tempo a divenire una figura tragica. Fino a qualche anno fa bastava leggere un'intervista a Vitali, quando parlava di copioni e di successi assicurati, per percepire la sua voglia di tornare. Una voglia disperata, esplicitata dall'immancabile cappello che ne ha segnato la riconoscibilità e dalla voce piena di livore verso un mondo che lo aveva rinnegato completamente. Anche questo è un modo lecito per rimanere l'ultimo a continuare a lottare.
Alvaro Vitali, una maschera fatta persona

A testimonianza che gli ultimi sono stati spesso partecipi di grandi opere cinematografiche, Alvaro Vitali fu scoperto da Federico Fellini, appassionato delle caricature emotive che trasmettono corpi e volti, che lo volle per il Satyricon e poi ancora per I clowns, Roma e Amarcord. La particolarità espressiva del suo volto e del suo corpo colpì anche Mario Monicelli, Dino Risi, Luigi Magni e Alberto Sordi, che lo adoperarono come una maschera da porre sullo sfondo, una rappresentanza di matrice teatrale di quegli ultimi in senso primordiale.
La svolta segue l'abbandono dal tragico farsesco per approdare alla commedia sexy, che innestava un'idea di comicità da sketch, quindi di stretto respiro e legata ad un erotismo giocato costantemente sul limite della volgarità dichiarata, termometro esistenziale con cui misurerà la società italiana da operetta la saga dei cinepanettoni. Un filone fortemente legato al momento, quindi intrinsecamente fugace, che poneva come vincolo un'accessibilità impossibile nella vita reale e per questo in grado di fare il boom al botteghino, cavalcando una rivoluzione tutta nostrana improntata sullo sdoganamento della licenziosità. Ricetta che poi è tornata molto forte nella tv generalista.

La pellicola indicata come prima fautrice del movimento arriva a metà anni '70. La poliziotta di Steno, innesca (probabilmente suo malgrado) la miccia che fa esplodere il genere con tre sequel in cui Edwige Fenech sostituisce Mariangela Melato e nei quali Vitali diviene una figura sempre più centrale. Sull'onda lungo della cornice umoristica legato alla distruzione della serietà delle istituzioni, dalla caserma si passa alla scuola con la saga de La liceale con Gloria Guida, dove Vitali continua a comparire, e poi con Pierino nel 1981, culmine della maschera creata dall'attore romano. Questo sarà il decennio in cui la commedia sexy scoperchia il canonico vaso di Pandora e diventa linguaggio in grado di rileggere praticamente tutti gli aspetti della vita di costume italiana. Non tarda per esempio ad arrivare al calcio, dove Vitali fa ancora parlare di sé con Paulo Roberto Cotechiño centravanti di sfondamento.
Un ultimo in cerca d'autore

Questi sono gli anni del picco, in cui l'attore diventa uno dei più conosciuti del nostro Paese, membro di un gruppo in cui figuravano anche Renato Pozzetto, Lando Buzzanca, Carlo Giuffré, Mario Carotenuto, Pippo Franco, Enzo Cannavale, Bombolo e, soprattutto, Lino Banfi. Quest'ultimo fu il socio naturale di Vitali, con cui formò una coppia che per diverso tempo funzionò benissimo sul grande schermo, ma che poi, come le cronache hanno avuto modo di raccontare, non si è lasciata in modo degno.
Il fenomeno che lanciò Alvaro Vitali non durò però molto, tant'è che la pietra tombale arrivò addirittura già ad inizio anni '90 con l'insuccesso di Pierino torna scuola. Così l'attore si ritrovò improvvisamente in un mondo che non aveva più nessuna voglia di dargli un ruolo o una funzione. Solo poche chance, fornite da chi vedeva in lui quel valore che, pur rimanendo spesso sopito, fu la miccia artistica che ne lanciò la carriera. Pensate alla sua ultima apparizione in Vita da Carlo di Carlo Verdone, in una prova di un'umanità e di un pietismo toccanti.

Alvaro Vitali ha dovuto fare i conti con se stesso senza più la maschera che gli permetteva di esorcizzarsi, un destino in grado di piegare la maggior parte dei comici e degli interpreti che hanno fatto dell'auto dileggio un modo per comunicare. L'attore non ha però mai smesso di provare a riemergere, anche se questo voleva dire frequentare giri teatrali non proprio redditizi o riconosciuti. L'ultimo tra i clown, ma comunque mai domo e dal grande pubblico mai del tutto dimenticato, nonostante l'abbandono così tanto denunciato. Anche questo è un grande traguardo.