A Cardiff non c'è solo il rift - la fessura - spazio-temporale di Torchwood, ma anche i capannoni che ospitano, poco fuori dalla città, il set di una serie magnifica e centellinata nella distribuzione conosciuta come Sherlock. E c'è chi, come chi scrive, si venderebbe la nonna per metterci piede. La nonna si è salvata (il karma si è rivalso su altro), e il set tour di Sherlock, su per le scalette verso il salotto del 221B, è stata un'esperienza memorabile. Risale allo scorso maggio, come ha svelato il reporter di Empire sul numero di gennaio, che ha avuto il privilegio di pubblicare le interviste agli autori Mark Gatiss e Steven Moffat in anteprima (gli altri hanno firmato con il sangue un embargo che decade oggi). BBC Worldwide ha aperto le porte dei teatri di posa di Cardiff anche a un nutrito gruppo di giornalisti stranieri - uno per Stato, per 15 Paesi - affiancati a quelli britannici in questa sensazionale avventura. Superato lo sciopero dei controllori di volo, una tempesta di fulmini ad alta quota e un paio di treni soppressi da Gatwick verso il centro di Londra, l'inviata più calamitata del contingente ha raggiunto gli altri in quel di Paddington per recarsi Cardiff in treno. La mattina seguente, dopo un viaggio quasi interminabile in autobus fino ai set, la spedizione è approdata alla meta, e condotta, volutamente guidata lungo il percorso più ostico e difficile da ricordare possibile, fino al capannone che ospita la ricostruzione del 221B di Baker Street. Dopo molte raccomandazione dal tono perentorio di non scattare foto e non fare riprese - pena l'onta e l'esilio immediato - ci hanno permesso di varcare la sogli di casa Holmes.
Al 221BLa porta con il numero civico è... da un'altra parte, un po' defilata rispetto al resto di chez Sherlock. Per visitare l'appartamento si sale sulle celebri e anguste scalette fino al salotto: si vedono subito il teschio del bisonte con le cuffie, quello umano dipinto su sfondo verde, la mensola con il pipistrello imbalsamato e altre creature stecchite, il divano e... il muro dietro di questo non c'è, è removibile. Sopra ci sono attaccati gli appunti del caso della seconda puntata - quella attualmente in produzione - che non vogliono farci vedere. Ci mostreranno più tardi, invece, alla presenza di un Moffat gongolante e un Gatiss dallo sguardo da scienziato con le cavie fresche, una scena appena montata della puntata di mezzo. Incuranti di essere usati come spettatori campioni e come pleonastico innesto di fiducia per gli autori, ci godiamo estasiati lo stesso estratto mostrato un paio di mesi dopo al pubblico esultante del Comic-Con di San Diego. Stupiti dagli spazi ridotti degli ambienti, sedotti dalla visione ravvicinata dei particolari di accessori e mobilio, incuranti dei faretti piantati nei luoghi più ingombranti e dell'inquietante vuoto dietro al divano, ci aggiriamo scontrandoci un po' sopraffatti tra una stanza e l'altra. Non è finita, per fortuna, dopo averci lasciato vagare per il resto dell'appartamento composto da cucina e camera da letto - guardare e non toccare - ci lasciano scattare qualche foto con i telefonini per lasciarci una prova che eravamo davvero lì e non ce lo siamo sognati. Il look di Sherlock
Si prosegue il tour per le roulotte di trucco e parrucco. La costume designer, mentre le lavatrici lavorano di gran lena, ci mostra gli indumenti, tutti appesi sotto l'etichetta del rispettivo padrone, del cast principale: ci sono la sciarpa blu e il cappotto di Sherlock e le camicie da boscaiolo di John. Sarah Arthur, oculata responsabile del look dei protagonisti, spiega che definire l'abbigliamento di Benedict Cumberbatch è stata una sfida - doveva sembrare affascinante ma incurante dello stile. Un giornalista intrepido di cui non faremo il nome le chiede se l'attore considerato un'icona di fascino da torme di fan porta i boxer o le mutande, la Arthur replica sogghignando che lei, e solo lei sul set, lo sa e custodirà il segreto fino alla morte, poi aggiunge che a contare più di ogni cosa per il reparto costumisti è che l'attore non si ripresenti, tra una stagione e l'altra, con una taglia diversa. Sbirciando tra i cartellini, spiccavano i costumi di una certa Signora Holmes: ci prese un colpo scoprendola, qualche mese fa non sapevamo ancora che fosse prevista una breve scena con Mamma Holmes, interpretata da Wanda Ventham, la genitrice di Cumberbatch. Non pervenuta la responsabile del make-up, Claire Pritchard, ma le assistenti ci congedano dal tour rivelando che per fare trucco e parrucco a Freeman ci vogliono circa dieci minuti, mentre occorrono ore ad acconciare la chioma riccioluta di Cumberbatch - il cui colore, constateremo con pacata professionalità poi, è decisamente nero con mèches fulve - e nascondere la cicatrice sulla fronte regalatagli dal trucco prostetico del Frankenstein di Danny Boyle. Alla fine del giro ci aspetta la mostra del Dottore - la Doctor Who Experience, ormai stabile a Cardiff - ideale per sfogare la malinconia con lo shopping, ma appena fuori dal set ad attenderci c'è un sole inconsueto e smagliante e la voglia incontenibile di scapicollarsi di nuovo dentro e incollarsi la carta da parati del salotto di Sherlock addosso, nella speranza di restare lì ancora un po'.