Recensione Il club degli imperatori (2002)

Se la prima parte del film è decisamente riuscita ed efficace, il controllo e l'equilibrio del tutto si perde quando la storia si sposta in avanti, ai giorni nostri.

Una storia maestra di vita. Nelle intenzioni.

William Hundert, protagonista de Il club degli imperatori, è uno dei più stimati insegnanti dell'esclusiva scuola maschile St. Benedict, uno di quei collegi per ragazzi dell'alta borghesia americana che li prepara all'ingresso nelle più prestigiose università del paese. Alla metà degli anni 70, Hundert insegna quella materia che gli americani chiamano Classics, ovvero la storia ed il pensiero delle antiche civiltà greca e romana. Per Hundert la sua non è solo una materia scolastica, è molto di più: una passione, un modello di civiltà e di vita che cerca di trasmettere con grande entusiasmo ai suoi studenti, partendo dalla ferma convinzione che il compito di un insegnante sia quello di forgiare il caratteri dei suoi allievi e di trasmettergli i valori alla base del vivere etico. Ma questa, e molte altre sue convinzioni vacillano per via dell'incontro con un nuovo studente, un ragazzo ribelle di nome Sedgewick Bell, che del professore diverrà la croce e la delizia. Nel rapporto con Sedgewick, nel tentativo di tirar fuori quanto di buono vede in lui, Hundert metterà in gioco tutto sé stesso, fino a sfidare i limiti delle sue stesse regole di vita. Ed il risultato di questo mettersi in gioco lo scoprirà 25 anni dopo, nel corso di una rimpatriata tra alunni e professore.

Nel raccontarvi la trama del film, abbiamo già messo in luce quelle che sono le sue caratteristiche e le sue tematiche fondamentali. C'è infatti una profonda corrispondenza tra la materia insegnata dal protagonista e lo stile (visivo e narrativo) della pellicola.
Come Humpert insegna e ama il mondo classico, la classicità è il marchio di fabbrica della regia di Michael Hoffman - che con Kevin Kline aveva già lavorato in Bolle di sapone e Sogno di una notte di mezza estate. Ne Il club degli imperatori, Hoffman si mette completamente al servizio della storia, raccontandola nella maniera più lineare possibile, aiutandosi con classici - appunto - artifici retorici quando è necessario (ed ancora, parlando di retorica, torniamo al legame con l'insegnamento di Hundert).
Ma se la prima parte del film, quella che racconta l'incontro ed il rapporto tra professore e allievo è decisamente riuscita ed efficace - una parte in cui Hoffman riesce a tenere abilmente le redini del discorso e ad appassionare - il controllo e l'equilibrio del tutto si perde quando la storia si sposta in avanti, ai giorni nostri. Qui il regista non riesce più a gestire e raccontare adeguatamente il grande investimento emozionale richiesto dalle vicende, perdendosi sia dal punto di vista del ritmo che da quello più semplicemente narrativo. Sul piano della caratterizzazione dei personaggi e delle loro psicologia poi, con l'eccezione di quelli di Hundert e di Sedgewick, il film lascia molto a desiderare, con figure stereotipate e poco approfondite, spesso inseriti in situazioni appena abbozzate che lasciano sconcertati.

In sostanza, con Il club degli imperatori siamo di fronte ad un prodotto certamente non memorabile, cinematograficamente spesso e volentieri insufficiente. Ma...ci sono dei ma. Il primo - seppur marginale - è rappresentato dall'ottima interpretazione di Kevin Kline, sicuro e convincente nel tratteggiare il carattere e la mentalità di un uomo che vede il proprio mondo e le proprie convinzioni messe a dura prova. Il secondo è dovuto a tutta una serie di interrogativi che il film pone, in maniera sicuramente (a volte fin troppo) retorica, ma con serietà e coraggio. Da un lato interrogativi che riguardano il rapporto tra educatore ed educandi, dall'altro il significato di parole come "etica", "morale", "valori". Grazie a questi interrogativi il film assume una validità che il suo puro valore cinematografico non gli regalerebbe, e soprattutto si mette in condizione di differenziarsi a livello profondo da molti degli altri film che fino ad oggi hanno raccontato dinamiche simili. Su tutti quel (pur bellissimo) L'attimo fuggente che spesso è stato tirato in ballo - a nostro giudizio immotivatamente -in relazione a questo Il club degli imperatori.

Concludendo, nel dare a questo film un giudizio finale, ci sentiamo come il professore Hundert di fronte ai compiti di Sedgewick Bell. Dentro di noi siamo coscienti dei suoi (molti) limiti, ma vogliamo forse promuoverlo, anche se con una sufficienza stentata, e quindi preferiamo chiudere gli occhi e concentrarci solo su quanto di positivo (e magari inespresso) è stato proposto da Hoffman e compagnia. Pur coscienti del fatto che - come accade al professore - con il tempo potremmo rimpiangere la nostra scelta.