Recensione Un'impresa da Dio (2007)

Un film privo di slanci che in ogni caso fa il suo dovere, ovvero quello di intrattenere il pubblico piacevolmente fino ai titoli di coda.

Un diluvio da ridere

E dopo Una settimana da Dio, Un'impresa da Dio. Potrebbe finire qui il commento ad un film che, se ha il pregio, raro di questi tempi, di non indurre mai lo spettatore a guardare l'orologio, ha molto poco d'altro da offrire che non una storiella carina e scacciapensieri innestata su un'architettura narrativa già collaudata.
In questo frangente Evan (un azzeccato Steve Carell, che spesso purtroppo finisce per subire i tempi comici piuttosto che imporli) è un neo-eletto al Congresso americano, il cui idealismo dovrà immediatamente scontrarsi con il cinico pragmatismo di un presidente della commissione ambiente (un John Goodman di maniera), deciso in tutti i modi di trascinare il malcapitato in affari piuttosto loschi.
Come se non bastasse, Evan inizia ad avere strani segni premonitori, fino a quando non incontra un simpatico vecchietto (Morgan Freeman, ormai calato nella parte dell'Onnipotente) che gli si presenta come Dio e gli suggerisce calorosamente di costruire, nientepopodimeno, che un'arca.

Ci siamo dilungati sullo script, del quale vi risparmiamo il prevedibilissimo seguito, perché è nella assurda demenzialità della storia che si fonda uno dei pochissimi punti di forza della pellicola.
L'impronta comica sulla quale si costruisce tutto il film è quella del surrealismo demenziale: la classica battaglia di un idealista contro il cinismo del mondo, con tutto un contorno di uccelli, roditori e animali vari al seguito, stole da antico medio oriente e barbe bianche. Elementi che, rapportati alla perbenista e patinata cornice washingtoniana, stonano non poco.
Non manca un po' di sano moralismo posticcio: tutta la questione si risolverà infatti nella più classica e "yankee" delle questioni ambientali. L'ecologismo spicciolo, denso di sentimentalismo e di buoni propositi, fa da cappello a tutta la vicenda, assurgendo addirittura a motivazione dello scomodarsi in prima persona del creatore.
Dopo averlo massacrato a dovere, come conviene ad un film vuoto e privo di slanci come Un'impresa da Dio, bisogna però affermare che la pellicola fa il suo dovere, che è quello di intrattenere il pubblico piacevolmente fino ai titoli di coda.
Si accontenta di svolgere il compitino senza rischiare mai un acuto, ma senza nemmeno tediare. Forse, solo per questo, pur non dicendo né comunicando nulla di rilevante, la commedia merita una sufficienza stiracchiata.
Certo è che qualcosina di meglio si poteva tirar fuori da un materiale comunque originale.