Recensione Strade perdute (1997)

Un viaggio malato all'interno di una vicenda così ordinaria e "finta" da apparire terrificante.

Trasfigurazione della realtà

Una strada che scorre veloce dinanzi a noi, la musica ad alto volume che accompagna i titoli di testa. Incomincia un viaggio malato all'interno di una vicenda così ordinaria e "finta" da apparire terrificante. Scorre, la vita apparantemente idilliaca di una coppia, un sassofonista (Bill Pullman) e la bellissima moglie (Patricia Arquette), poi il ritrovamento di una serie di videocassette che mostrano la casa dei due coniugi dall'esterno prima, poi all'interno, e infine l'omicidio della donna ad opera del marito. Da lì in poi inizia l'incubo vero e proprio, che si sviluppa senza seguire connessioni temporali e consequenziali, piuttosto assecondando i raccordi mentali ed emotivi dei personaggi. Una serie di personaggi perduti, come le strade del titolo, e un intreccio che indubbiamente appare come la quintessenza delli'incomprensibilità: eppure la forza visiva delle immagini è sempre enorme, così come la capacità di ricreare un'atmosfera che mette pesantemente a disagio, ancora di più rispetto ad altri lavori dello stesso Lynch. Da molti il regista è stato accusato di usare i suoi mezzi e la capacità di impressionare visivamente in senso manieristico, con l'esplicito intento di prendere in giro gli spettatori. Invece, è proprio questo il punto: il talento del visionario cineasta viene frainteso, perchè in pochi riescono a capire una cosa fondamentale, e cioè che nel cinema di Lynch l'immagine ha una predominanza assolutamente fondamentale sul resto; essa è il principale veicolo narrativo, in quanto raccoglie in sè il duplice compito di mostrare l'azione e la sensazione, spesso si assiste a una sorta di negazione dei fatti. Ciò porta in sostanza alla contaminazione dell'impianto narrativo tradizionale, nella misura in cui i personaggi agiscono ognuno sulla base del proprio "presente", nonostante i tempi dell'azione siano spesso collocati su piani temporali diametralmente opposti.
Convicenti le interpretazioni degli attori, soprattutto in relazione alla sceneggiatura assolutamente sopra le righe e che richiede grandi doti interpretative e mimiche, oltre a una grande espressività. Grande Patricia Arquette che mostra le sue grazie con disinvoltura e dimostra di saper veramente stare di fronte a una telecamera. Stesso discorso per Bill Pullman e Balthazar Getty, che incarnano la figura dell'uomo disperato e sconcertato unitamente alla espressione di un sentimento di straniamento generale.
Inquietante Robert Blake nella parte dell'uomo misterioso, e così via anche tutti i comprimari che reggono bene i ruoli secondari.
Degno di menzione l'accompagnamento musicale, per il quale il maestro Angelo Badalamenti ha scelto brani molto diversi tra loro per genere e sonorità, eppure combinati in maniera piuttosto omogenea.
In definitiva un film che convince per la sua potenza espressiva e per quanto riesce a far immaginare allo spettatore sveglio e scaltro, che non rimane fermo all'apparenza ma va al di là, forse compenetrando i significati più nascosti dell'opera.