Recensione Intermission (2003)

Coralità e ricerca dell'amore e dell'accettazione sono i temi perseguiti abilmente da Intermission, gradedevole black comedy inglese dal ricercato equilibrio narrativo, diretta dall'esordiente John Crowley, regista proveniente dal teatro, come lo sceneggiatore Mark O' Rowe.

Tra vivere e sopravvivere: la missione amore

Tante storie si intrecciano nella Dublino di oggi: una coppia in crisi vive in modo differente il proprio reciproco allontanamento, un ladruncolo arrogante cerca di sistemarsi con un ultimo colpo, ma sulle sue tracce c'è un rude detective abbrutito e violento a cui si incolla un rampante scrittore per la televisione. Un ragazzo vive con depressione la sua timidezza e la sua astinenza sessuale, cercando di sanare la mancanza nei più vari modi, fino alla scoperta di un sentimento forte per una ragazza, anch'essa ben poco popolare. Ed intorno a loro, ancora: un autista di autobus imbranato, che licenziato per un incidente si fa coinvolgere in un furto, un insensibile gestore del personale, una ex-moglie particolarmente aggressiva, un bancario alla ricerca di una nuova giovinezza.

Coralità e ricerca dell'amore e dell'accettazione sono i temi perseguiti abilmente da Intermission, gradedevole black comedy inglese dal ricercato equilibrio narrativo, diretta dall'esordiente John Crowley, regista proveniente dal teatro, come lo sceneggiatore Mark O'Rowe. Il film mostra i suoi lati migliori sotto il profilo della scrittura che riesce abilmente a creare e gestire la coralità del plot (undici storie diverse e cinquantaquattro personaggi con battute), fornendo un'adeguata caratterizzazione dei personaggi e delle storie, seppur non mantiene per tutta la durata della pellicola la medesima qualità, complessivamente però più che soddisfacente. L'alternanza di momenti drammatici ed intensi ad altri più divertenti e scanzonati è in piena aderenza agli stilemi della commedia sociale inglese, come l'essenzialità della messa in scena ed il naturalismo della m.d.p., di chiara ispirazione al cinema documentaristico (indicativo a questo proposito è il massiccio utilizzo della camera a mano molto vicina ai protagonisti).

La formazione teatrale dei creatori del progetto, come l'approccio stilistico, qui sopra accennato, non impedisce al film di lasciarsi andare ad alcune salutari incursioni nell'azione e nella fiction, rendendo la pellicola più vicina ai gusti dei fruitori del grande schermo. Ne è consapevole lo sceneggiatore Rowe, il quale sostiene: sebbene nel cinema lo sceneggiatore è messo in disparte rispetto a quanto sia coinvolto nel teatro, c'è una dimensione esagerata nel cinema che lo rende speciale. C'è una gran libertà nella scrittura di un film: puoi realizzare scene d'azione che non sarebbero mai possibili a teatro e puoi continuare ad aggiungere personaggi all'infinito.
Un film ben scritto, ben diretto e ben interpretato da un cast realistico e convincente; un film che ci piace.