Recensione Piazza Delle Cinque Lune (2002)

Un film sugli intrighi di potere, sulle mezze verità, sui dati occultati, sulla sete di ideali, che fra fotogrammi sgranati stile documentario e flashbacks in bianco e nero, si cimenta in un'interessante ipotesi storico-politica sul sequestro di Aldo Moro.

Storia d'una ragnatela letale

Colpisce, questo film di Enzo Martinelli, distribuito dall'Istituto Luce. Colpisce per l'impeccabile precisione della sceneggiatura, per l'efficace resa fotografica, per la meticolosa quanto fedele ricostruzione storica, nonché per la buona interpretazione degli attori e non ultima la grande regia, capace di far scivolare la pellicola lungo piani diversi, dal giallo al thriller al film d'azione al drammatico allo storico al sentimentale.
Rosario Saracini, magistrato senese fresco di pensione, riceve all'improvviso da uno sconosciuto un misterioso pacchetto, il cui contenuto si rivela un vecchio film girato in super8 sul sequestro di Aldo Moro in Via C. Fani, datato 16 Marzo 1978. Da qui ha inizio una lunga e appassionata indagine, (non ufficialmente) condotta proprio dall'anziano Saracini che, consultandosi costantemente con due dei suoi più fedeli colleghi, tali Branco e Fernanda, impegna tutto se stesso in questa ricerca quasi ossessiva di una verità sepolta da un silenzio colpevole da ben venticinque anni...

Tralasciando di dibattere sulla convenienza della scelta del soggetto -scelta senza dubbio rischiosa quanto forse provocatoria: nel film si dice che il sequestro di Moro fu deciso in realtà dalla CIA, colpevole per altro di aver manipolato le Brigate Rosse-, c'è da dire che Piazza delle cinque lune vanta una discreta potenza suggestiva non solo grazie all'architettura minuziosa che da filmica si fa in ultimo urbanistica, per così dire, ma anche per merito di interpreti mediamente (e si sottolinei mediamente) convincenti.
A parte Stefania Rocca, che resta in bilico fra sì e no (molto meno espressiva rispetto al suo solito, fatta eccezione per l'incisiva scena in ospedale coi figli), Giancarlo Giannini si dimostra attore degli sguardi, più che delle parole, e riesce a reggere il confronto con Donald Sutherland - da non perdere il faccia a faccia finale. Se è vero che in alcuni tratti la vicenda si fa scontata e prevedibile, è anche vero d'altra parte che i difetti comunque presenti nella pellicola vengono presto perdonati grazie ai titoli di coda, che regalano l'emozione di un Luca Moro che, chitarra alla mano, inveisce contro tutti coloro che sapevano e non sapevano, che vedevano e non vedevano, complici anche inconsapevoli della tragica fine del nonno: "Maledetti voi!"

Il film risulta, infine, di fatto suddiviso in due parti - nella prima si assiste ad una scrupolosa ricostruzione storica del sequestro, studiata e sviscerata dai magistrati in ogni minimo dettaglio, mentre nella seconda, decisamente più intrigante, la macchina da presa segue attentamente tutte le mosse dell'arguto Saracini, spiando silenziosamente al tempo stesso il contrattacco dell'avversario, come in un'avvincente partita a scacchi, dove però non c'è nessun vero vincitore. O meglio, vince chi bara, chi riesce a camuffare la propria identità fino all'ultimo istante; vincono i sotterfugi, le menzogne, le ragnatele d'una politica malvagia. Alla schermata finale è consegnato il messaggio del film, messaggio indimenticabile per la sua maledetta, cruda verità: "La giustizia è come una tela di ragno: trattiene gli insetti piccoli, mentre i grandi trafiggono la tela e restano liberi" (Solone)