Recensione Leones (2012)

Thriller dalle venature esistenzialiste, la pellicola non riserva in realtà alcun momento chiave e quello che dovrebbe far sussultare lo spettatore diventa solo un pretesto per mettere in scena un elenco di simboli impossibili da decifrare.

Something in the Woods

Una tranquilla giornata al mare con gli amici si trasforma per la comitiva di Sofi, Felix, Isa, Arturo e Nicolas in un viaggio da incubo in una lussurreggiante foresta dove i cinque ragazzi capitano in seguito ad un incidente. Chi o cosa abbia provocato quell'improvviso cambio di programma è difficile da dire. L'unico elemento certo è lo smarrimento che i ragazzi provano in un posto che non è neanche segnato sulla mappa. Forse quel viaggio è il frutto dei deliri e dei rimorsi di Isa (Julia Volpato), ritrovatasi quasi per caso all'interno della carcassa dell'automobile che li stava portando a destinazione. Davanti ad un film come Leones, della regista argentina Jazmin Lòpez, presentato nella sezione Orizzonti della 69.ma Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia, non si può fare a meno di rimanere spiazzati, sia per il modo oscuro di condurre il racconto, in attesa di un colpo di scena che non si concretizza mai, sia per lo stile volutamente 'raffinato' e ricercato che però non fa che appesantire una trama di per sé misteriosa. Lunghissimi piani sequenza accompagnano la camminata nel bosco di questi cinque ragazzi sperduti che si divertono fare il gioco delle sei parole di Hemingway (compiere frasi di senso compiuto utilizzando appunto solo sei termini) e a discutere della vita facendo della filosofia spicciola, pur mantenendo gli atteggiamenti scapestrati da adolescenti.

Il film diventa quindi un velleitario esercizio stilistico, poco innovativo e soprattutto poco coinvolgente dal punto di vista emotivo. Thriller dalle venature esistenzialiste, la pellicola non riserva in realtà alcun momento chiave e quello che dovrebbe far sussultare lo spettatore diventa solo un pretesto per mettere in scena un lungo elenco di simboli impossibili da decifrare. Tutto resta al livello di suggestione; gli oggetti e i luoghi in cui si imbattono, come la pistola che viene ritrovata all'interno di un trattore fuori uso o la casa che vediamo solo per pochi minuti, non sono mai funzionali al racconto, che procede in maniera ellittica ed ermetica. Ci si chiede attoniti insomma cosa voglia raccontare sul serio la regista (qui anche sceneggiatrice e co-produttrice); se dietro a questa storia non si celi una riflessione più profonda sulla disperazione umana e sulla perdita di senso nel mondo contemporaneo o se invece non ci troviamo davanti ad un'artista che vorrebbe riproporre, senza possedere alcuna originalità, stilemi e temi cari a grandi autori del passato, leggasi Michelangelo Antonioni, omaggiato nella sequenza della partita a pallavolo senza palla, chiaramente ispirata da Blow-Up. La risposta all'interrogativo è fin troppo semplice. Almeno questa.

Movieplayer.it

2.0/5